A Washington si è ulteriormente cristallizzata la frattura
Quel cessate il fuoco che divide Bruxelles: Michel e Borrell alla conferenza di pace del Cairo ma non Ursula

Che non scorra buon sangue tra la Presidente della Commissione Ursula von Der Leyen da una parte e il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il capo della diplomazia Josep Borrell è cosa nota, ma è la vicenda mediorientale a far scoppiare tutte le contraddizioni. Da un lato c’è la linea di politica estera formale dell’Unione, quella che come ha sottolineato Borrell nei giorni scorsi viene decisa dai ministri degli esteri (e non da Ursula, ça va sans dire): Hamas è un gruppo terroristico che ha fatto un inaccettabile attacco ad Israele, Israele è giusto che si difenda, che liberi i suoi ostaggi e che risponda militarmente all’aggressione, ma in vista della soluzione politica finale che è e deve rimanere “due popoli, due stati” Israele deve rispettare il diritto internazionale e soprattutto non bisogna rischiare di allargare il conflitto e incendiare tutto il Medio Oriente. La linea di Ursula è molto più schiacciata sulle posizioni di Netanyahu, il leader israeliano dal quale la presidente della commissione è volata senza coinvolgere altri se non la sua collega di partito Metsola per quella che è apparsa più l’ennesima ricerca di una foto opportunity che una missione diplomatica. Clamorosamente criticata da una lettera che 798 membri del personale delle istituzioni europee le hanno recapitato venerdì scorso, Ursula a Washington ha rincarato la dose quando all’Hudson Institute, un think-tank conservatore, ha dato la priorità al diritto di Israele di difendersi dopo il brutale assalto di Hamas del 7 ottobre ed ha trascurato di menzionare la soluzione dei due stati che è da sempre una parte fondamentale della posizione dei paesi europei.
Ma è proprio a Washington che si è ulteriormente cristallizzata la frattura: l’Europa è sì una sola, ma alla Casa Bianca si sono presentate le due più alte autorità con due staff diversi, incontri separati insieme al Presidente Biden e una frettolosa, unica foto a tre nello studio ovale. E così, nel weekend, alla conferenza di pace del Cairo sono volati Michel e Borrell ma non Ursula, quasi a cristallizzare il suo isolamento. Arriviamo così a ieri, al consiglio dei ministri degli esteri che si è tenuto a Lussemburgo, dove il tema del “cessate il fuoco” l’ha fatta da padrone. Va chiesto il cessate il fuoco ad Israele? Non ci deve essere affatto, deve essere solo temporaneo per ragioni umanitarie, per far arrivare aiuti alla popolazione di Gaza, o è l’inizio di un percorso lungo e tortuoso che porti alla pace? Ad aprire le danze è stato il governo spagnolo che ha ancora per qualche mese la presidenza dell’Ue: a Netanyahu, ha scritto Sanchez su X-Twitter domenica sera, “ho espresso la mia profonda preoccupazione per la protezione di tutti i civili e la necessità che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione di Gaza. Per questo è necessario un cessate il fuoco umanitario”. Manfred Weber, il leader dei popolari, ha subito precisato che “il cessate il fuoco non è opportuno e non è in linea con la posizione secondo cui Israele ha diritto a difendersi”. Alla fine però a prevalere è stata la linea di Michel, che poi è quella di Biden. “L’idea di una pausa umanitaria è qualcosa che trova il sostegno degli Stati membri”, ha dichiarato l’alto rappresentante UE per la politica estera al termine del vertice.
Se però qualcuno pensa che sia stata messa la parola fine alla contesa tra i due, che non è solo personalistica, ma è politica, di posizionamento internazionale dell’Europa ed anche di potere a Bruxelles e di manovra in vista delle prossime elezioni europee, sarebbe un illuso. Con buona pace di chi spera che l’Europa possa parlare con una voce sola e riprendersi così un ruolo sugli scenari internazionali.
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