È la testimonianza di un vuoto politico e culturale profondo che va al di là anche della questione Craxi: l’attuale Pd non è né riformista, né massimalista, né garantista, né giustizialista (basta pensare alle incredibili contorsioni sulla faccenda della prescrizione), né liberista, né statalista. È aggrappato all’alleanza con il M5s alla quale cerca di dare addirittura una dimensione “strategica” non facendo i conti con la crisi drammatica in cui versa il suo alleato.

Insomma, di fronte all’aggressivo sovranismo di Salvini e della Meloni, all’assenza della crescita, alla crisi di pezzi importanti dell’industria italiana, alle disuguaglianze, all’entità del debito pubblico, al nodo del Mezzogiorno e della denatalità occorrerebbe un grande partito riformista e liberal-socialista, ma esso non c’è, né esistono segni allo stato attuale che possa emergere da questo Pd. Insomma, il Pd non parla di Bettino Craxi perché non è stato capace di fare i conti con se stesso con scelte culturali e politiche di fondo.

Di fronte a questo vuoto, Craxi è riemerso come un grumo di questioni drammatiche, accomunato a un’altra grande personalità come quella di Moro, sia pure con procedure molto diverse, dall’eliminazione violenta dalla vita politica e dall’esistenza individuale. Rispetto a tutto ciò un soggetto politico che abbia dignità non se la cava certo né con le invettive, né con le monetine, ma nemmeno con il silenzio.