Ma che sorpresa. L’avesse visto coi suoi occhi, neanche lui ci avrebbe creduto. È tornato Bettino, nel senso di Craxi: “il cinghialone” (come lo chiamava Giampaolo Pansa) non è più tabù, non è più un “pregiudicato con sentenza definitiva” ed è effettivamente morto in esilio, più che in latitanza. Ma al tempo della sua caduta, Craxi era l’Alì Babà con i cento ladroni, Pietro Gambadilegno e Al Capone. Così fu consegnato alle iconografie della cronaca e satira del mainstream, della memoria corretta.

A quanto pare, oggi Bettino Craxi torna su come una peperonata maldigerita dalla politica annaspante anche perché è diventata adulta una generazione che non era ancora al mondo quando morì, giusto venti anni fa, in Tunisia. Ricordo quei funerali, quel caldo africano, quella folla, quella disperazione rabbiosa, tutto l’enorme non-detto che gravava su tutti in quei giorni tristi e definitivi. Poi, dopo, Craxi è veramente morto. Quando si è spento il clamore, gli elettricisti si sono portati via i fari, i tecnici del suono hanno riposto i microfoni, allora sono rimasti in pochi: per prima la figlia Stefania che non ha mollato l’osso per un secondo e che se papà l’avesse vista sarebbe felice; e anche Bobo, il maschio che fisicamente gli somiglia, con le loro distanze e differenze.

Ricordo una domenica ad Hammamet quando Craxi costrinse tutti, me compreso che ero lì come inviato di Repubblica, a stare a mollo in piedi in mezzo a quel mare opalescente e subito profondo, per parlare. Cioè per essere ascoltato. Parlava accompagnandosi con quei gesti subito imitati circolari, lenti, interrotti da silenzi indecifrabili in cui era meglio non ti azzardassi ad entrare perché non erano silenzi, ma pause.

Sua moglie poi lo cambiava amorevolmente e lo asciugava. E quando, nei giorni della catastrofe, mi vide in via dell’Anima dove era in trattoria dopo il suicidio in carcere di Gabriele Cagliari (trovatemi uno che riesca ad ammazzarsi con un sacchetto di plastica da solo) e poco prima di quello di Raoul Gardini (uno che va in sauna, si fa una doccia, ordina un drink e si spara) mi chiese di sedermi. E mi disse: «Questi ti ammazzano. Stai attento. Questi non si fermano di fronte a nulla». Era sconvolto, aveva paura, mi trasmise paura. La fine è nota, ma non troppo.

Oggi il film di Amelio, Hammamet, spedito nei cinema per il ventennale della scomparsa, riempie le sale. Spopola. La gente fa la fila. L’interpretazione di Pierfrancesco Favino mi dicono che è straordinaria perché ha studiato i gesti, i tic, i tempi, ha ricostruito un avatar di Craxi. Io non andrò a vederlo perché i film sul tempo che ho vissuto sono inevitabilmente contestati dalla memoria.

Ma il fatto storico è che Craxi non è più una parolaccia e che i pochi socialisti ancora sul campo chiedono agli ex comunisti di Zingaretti se intendono o no rendere onore all’uomo che – fra l’altro – sdoganò i comunisti in Europa e che sognava (prima che se lo mangiassero vivo) di “aiutarli” a uscire indenni dal crollo sovietico. Ci fu un camper, lo ricorderete, in cui ricevette a via del Corso i due dioscuri del Pci: il capelluto e sottile Massimo D’Alema e il più gioviale Walter Veltroni. Si era messo in testa, Craxi, di imbarcare nella sua sterzata socialista autonomista tutta la sinistra che lui immaginava allo sfascio. Invece era lui che sarebbe stato di lì a poco rottamato ed eliminato.

Io sono stato per puro caso il giornalista che senza alcun merito scoprì il sistema della corruzione politica sistematica che poi sarà chiamata Tangentopoli nel 1980, quando Eugenio Scalfari mi mandò a intervistare il braccio destro di Giulio Andreotti, Franco Evangelisti, che commise una imprudenza: sapendo che mio padre era un vecchio democristiano e amico fraterno di Andreotti, mi accolse dicendomi: «Lo sai che tuo padre è amico di Giulio, vero? Be’, prima di fare l’intervista ti devo raccontare come funziona il background» (che lui chiama black ground) e spassionatamente mi fece quel racconto passato alla storia sotto il titolo “A Fra’ che te serve?”, con la descrizione minuta dei finanziamenti occulti.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.