Il Sì & No
Ratifica del Mes, giusto opporsi: è un trattato irriformabile che meriterebbe una decente sepoltura
Nel Sì & No del giorno del Riformista spazio al dibattito sulla ratifica del Mes, bocciata ieri alla Camera. Favorevole il deputato del Partito Democratico Marco Simiani, contrario invece il deputato leghista Alberto Bagnai.
Qui sotto il commento di Alberto Bagnai:
Non vorrei deludere i lettori del Riformista, né il suo direttore, che ha avuto la cortesia di ospitarmi, ma temo proprio che il MES sia un trattato irriformabile, per motivi oggettivi e soggettivi. Ricordiamo intanto che il MES non è un’istituzione unionale: il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea afferma all’art. 136 comma 3 che “gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità”. Si tratta di una facoltà, non di un obbligo, e quindi una UE senza MES è perfettamente possibile. Al contempo, lo stesso articolo dà al MES regole di ingaggio estremamente rigide: “La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. Quello di subordinare i prestiti a condizioni rigide è un obbligo, non una facoltà, e quindi un MES senza austerità non è possibile. Non a caso la riforma provvidenzialmente bocciata dal Parlamento italiano inseriva fra i requisiti di accesso ai finanziamenti precauzionali del MES proprio le regole di austerità deprecate da tutti, fautori della riforma inclusi! In particolare, la “regola del ventesimo”, che per l’Italia comporterebbe aggiustamenti al ribasso del debito dell’ordine di oltre 80 miliardi l’anno.
Siamo tutti convinti che il debito pubblico italiano vada ricondotto a dimensioni più gestibili: abbiamo però anche visto (e qualcuno aveva anche previsto) che tentando di farlo con troppa incisività si peggiora la situazione, abbattendo il Pil più del debito. La riforma del MES non risolveva ma aggravava questo problema. L’altra novità rilevante della riforma era l’impiego del MES come meccanismo di sostegno in caso di crisi bancarie. Qui forse andrebbe ricordato qualche ordine di grandezza. Non più tardi del marzo scorso il governo svizzero aveva scucito l’equivalente di 115 miliardi di euro per salvare Crédit Suisse, la diciassettesima banca europea in termini patrimoniali. Potremmo leggere questo episodio come la conferma che il diciassette è un numero sfortunato: preferisco leggerlo come dimostrazione del fatto che nel caso di una crisi sistemica i fondi del MES sarebbero insufficienti ad arginare il contagio finanziario. L’unica àncora di salvezza sarebbe il ricorso alla Banca Centrale Europea e alla sua illimitata capacità di creazione di moneta, quella che abbiamo visto all’opera anche durante la crisi pandemica. Non è la teoria di uno squinternato sovranista: è quello che si legge nel primo rapporto semestrale 2023 del Comitato di risoluzione unico, agenzia indipendente dell’UE. Alla luce di questa evidenza, più che uno strumento per la risoluzione delle crisi, il MES “riformato” appariva come uno strumento di redistribuzione dei risparmi: dall’Italia, le cui banche sono sane, ad altri Paesi le cui banche sono un po’ chiacchierate.
La conclusione è che il MES meriterebbe una decente sepoltura. Ma se questa parola di verità venisse detta, una burocrazia onnipotente e sovrapagata dovrebbe rinunciare ai propri privilegi. Le siamo umanamente vicini nel suo desiderio di resistere a questo esito infausto per lei, ma siamo convinti che la razionalità prima o poi prevarrà: il fondo sarà liquidato, e i suoi soldi, che sono pochi per affrontare una crisi sistemica, ma troppi per essere lasciati inoperosi in una sorta di “fortezza Bastiani” finanziaria, torneranno agli Stati membri, per essere destinati a impieghi più produttivi.
© Riproduzione riservata