Reddito di cittadinanza sì, reddito di cittadinanza no. Questo è il dilemma. Il nuovo Governo ha annunciato che dal 1 gennaio 2023 alle persone tra 18 e 59 anni (abili al lavoro ma che non abbiano nel nucleo disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni d’età) è riconosciuto il reddito nel limite massimo di 7-8 mensilità invece delle attuali 18 rinnovabili. Viene inoltre stabilito un periodo di almeno sei mesi di partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale.

In mancanza, decade il beneficio del reddito, così come nel caso in cui si rifiuti la prima offerta di lavoro congrua. La manovra include agevolazioni alle assunzioni a tempo indeterminato con una soglia di contributi fino a 6mila euro per chi ha già un contratto a tempo determinato e in particolare per le donne under 36 e per i percettori del reddito di cittadinanza. Ne parliamo con il politologo Gennaro Carillo, docente di Storia delle dottrine politiche all’università Federico II e di Storia del pensiero politico al Suor Orsola Benincasa.

Professore, la premier Meloni ha annunciato le modifiche al reddito di cittadinanza: non potrà essere percepito per più di otto mesi, chi è in condizione di lavorare deve farlo e alla prima offerta di lavoro rifiutata, si perde il reddito. È d’accordo?
«Non sono d’accordo. Il reddito è stata una misura di giustizia sociale, peraltro adottata in moltissimi altri Paesi. Ovviamente poteva essere migliorato ma non svuotato, come invece fa questo governo: che è reazionario nella sostanza, nonostante si professi conservatore. Ciò che è intollerabile è il clima nel quale è maturata la decisione del governo: il reddito è stato oggetto di una campagna di disinformazione sistematica. E c’è chi, forte di una posizione di privilegio (anche a sinistra), ha fatto della povertà una colpa. Dalla destra di governo c’era da aspettarselo. Da parte della sinistra no. Il risveglio del PD sul tema, per quanto tardivo, per quanto prossimo a un riflesso galvanico, va accolto positivamente».

Indubbiamente il reddito aveva portato molte persone a non tentare nemmeno di lavorare, ma c’è da dire che mancano politiche del lavoro attive. Come si inverte il trend meno reddito e più lavoro?
«È una domanda da girare a un bravo economista del lavoro. Credo che il reddito abbia giocato un ruolo decisivo in tempo di pandemia, evitando una catastrofe e un conflitto sociale senza precedenti. Senza questa misura (di civiltà e di solidarietà), lavoratori già precari potrebbero essere più esposti al ricatto dei datori e costretti ad accettare condizioni poco dignitose».

In una città come Napoli, con il più alto numero di percettori del reddito, quali ricadute ci saranno se l’offerta di lavoro è bassa e, spesso, con stipendi poco dignitosi? C’è il rischio di incrementare il lavoro nero?
«Certo che c’è il rischio concreto di un incremento del lavoro nero. Ma è evidente che questa maggioranza mostra i muscoli con le componenti più vulnerabili della società. C’è molto fumo identitario gettato negli occhi di un elettorato in attesa di conferme. Ma questo fumo dissimula per ora una sostanziale continuità nella linea che pesa a livello comunitario. Si colpiscono i più deboli per compiacere e rassicurare i forti. Quando parlo di disinformazione ad arte in materia di reddito di cittadinanza, penso a un dato in particolare: a quei datori che pretendono di imporre una retribuzione oraria da fame, salvo poi addebitare al reddito le mancate assunzioni. Ci s’interrogasse su questo».

Professore, qual è la sua idea in merito al regionalismo e all’autonomia e allo scontro De Luca-Calderoli?
«Da tempo, il problema principale della sinistra italiana è quello di aver alzato bandiera bianca nel contrasto alle disuguaglianze. In qualche caso nell’averle addirittura promosse, compiacendosene e interpretandole come segnali di modernità (di una modernità identificata in tutto e per tutto con la vulgata neoliberista: vedi la retorica delle competenze e del merito). L’autonomia differenziata rischia di accrescere le disuguaglianze, già gravissime, minando la coesione territoriale. La pandemia, in questo, è stata un banco di prova importante, evidenziando differenze talora macroscopiche tra regione e regione. Per non parlare delle terapie oncologiche e via discorrendo. Per altro l’autonomia differenziata potrebbe essere motivo di scontro all’interno della maggioranza tra la componente leghista e Fratelli d’Italia. Ma il potere è un cemento formidabile e, pur di conservarlo, tutto può diventare possibile, qualsiasi posizione può dimostrarsi rivedibile».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.