Alla fine troveranno la quadra. Nella notte, il Consiglio dei ministri è iniziato alle 20 e 30, Giorgia Meloni scontenterà un po’ tutti ma troverà il modo di bilanciare le varie anime della sua maggioranza nel distribuire ed assegnare i 32 miliardi della legge di bilancio 2023. La prima del tanto atteso governo di destra-centro che dovrà però accontentarsi di essere la copia un po’ sbiadita del governo Draghi. Messa così è l’offesa più bruciante che si possa fare a chi quell’esecutivo ha voluto a tutti i costi mandare a casa per lasciare spazio al governo della “politica”.

Ma questo è, stando ai fatti. E ai moniti della premier che ancora ieri pomeriggio, nel vertice ristretto di maggioranza pre Consiglio dei ministri con il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti e i vicepremier Salvini e Tajani, ha ripetuto come “la nostra priorità” sia “affrontare l’emergenza e dare alla Ue e ai mercati un segnale di grande serietà”. E poiché “non ci sono risorse e non c’è tempo, non possiamo sbagliare”. Una prudenza che va di pari passo con gli aggettivi che il ministro Giorgetti ha usato anche ieri pomeriggio, poco prima del vertice di maggioranza, per descrivere la legge di bilancio: «Sarà una manovra coraggiosa ma responsabile, realistica e prudente». Il risultato di tutta questa prudenza è che ieri sera alle 19, con un Cdm convocato prima alle 17 e poi alle 20.30, non girava neppure uno straccio di bozza. Per il resto è da giorni tutto un levare e mettere: è cominciato mentre Meloni era ancora a Bali per il G20 quando venne fuori che nella legge di bilancio ci sarebbe stato lo scudo fiscale per far rientrare patrimoni dall’estero, una sanatoria che potrebbe fruttare fra i 3 e i 5 miliardi. È andata avanti fino a sabato sera quando l’azzeramento dellIva per pane, pasta e latte sembrava cosa già fatta.

E invece no: «Non è importante, non si fa», ha tagliato corto un ministro di Fratelli d’Italia. L’azzeramento dell’Iva ha grande effetto mediatico ma è un beneficio piccolo per le tasche degli italiani, si calcola 10 euro all’anno per il pane e 7 euro per la pasta. L’ultimissima ciliegina è stato il bonus matrimonio: 20mila euro a chi si sposa in chiesa, vive in Italia da almeno 10 anni e ha un reddito minimo di 23 mila euro. Era un’idea della Lega. «Non è allo studio del governo», ha chiuso la porta Palazzo Chigi domenica sera. Alle 21 di ieri (quando questo giornale va in stampa) pochi erano i punti fermi. Molti, invece, i distinguo politici. Il reddito di cittadinanza è il punto più controverso e fino all’ultimo ha rischiato di far slittare a oggi il Consiglio dei ministri. Il valore della manovra sarà di circa 32 miliardi. Ventuno miliardi sono recuperati grazie al maggior deficit (4,5 invece di 3,4) e, come promesso, saranno tutti finalizzati ad alleviare inflazione e caro energia. La ricetta è quella di Draghi: sconto benzina (25 e non più 30 centesimi); credito d’imposta che potrebbe passare dal 35 al 40%; bonus sociale (i famosi e tanto vituperati 150 euro, “una mancetta, tenetevela” diceva Fratelli d’Italia quando era all’opposizione).

Potrebbe entrare nel capitolo “misure contro il caro bollette” anche quel miliardo circa che il governo vuole dare alle famiglie, specie se con molti figli: si parla di bonus palestre e centri estivi, taglio dell’Iva dal 22 al 5% sui alcuni beni per l’infanzia, libri di testo e ripetizioni. Tutto calibrato in base al reddito. Di sicuro sarò aumentato l’assegno familiare di cento euro. Restano così 10-11 miliardi. Che devono servire per finanziare tutto il resto: l’ennesima finestra per la legge Fornero, la Quota 103 indispensabile per Salvini e che costa circa 800 milioni; fondi subito per la Sanità visto che ospedali e Pronto soccorso sono al collasso (serve almeno un miliardo e mezzo). Altri 5 miliardi servono per il taglio del cuneo fiscale e dare più peso alle buste paga. Per mantenere vivo il taglio di due punti percentuali del cuneo fiscale per i redditi fino a 35mila euro servono almeno tre miliardi. L’ipotesi più forte è portare il taglio al 3% per i redditi fino a 20 mila euro. In questo caso il capitolo “cuneo fiscale” andrebbe ad assorbire cinque miliardi. La flat tax del 15% per i redditi autonomi fino a 85mila euro (adesso il limite è 65mila) si porta via altri 800 milioni-un miliardo. Un miliardo va dato tassativamente ai comuni i cui bilanci non riescono a sostenere il caro energia e non pagano le bollette. Più varie ed eventuali che, si sa, spuntano sempre fuori. Più la quota che in genere viene lasciata al Parlamento per soddisfare i territori. L’anno scorso Draghi lasciò 500 milioni in tutto. Mai così pochi. E li si giocò la Presidenza della Repubblica.

Ma il vero punto di rottura, diciamo molto problematico, è dove prendere questi undici miliardi. «Ciascuna spesa dovrà trovare la propria copertura nel proprio ambito», stanno ripetendo Meloni e Giorgetti. Lo scudo fiscale, idea del viceministro Leo (Fratelli d’Italia), potrebbe portare fra i 3 e i 5 miliardi. Preziosi come acqua nel deserto ma che devono scontrarsi con l’onda di biasimo e gli attacchi delle opposizioni: «Arrivano le destre e fanno i condoni». La misura alle 20 e 30 era ancora viva. La vuole anche Forza Italia. La Lega la accetta se Meloni darà via libera alla pace fiscale. Ma il semaforo è verde solo per la cancellazione delle cartelle fino a mille euro perché per la maggior parte inesigibili. Nulla da fare, invece, per le altre ipotesi sul tavolo: sconto del 50% per la cartelle fino a 5mila euro. Il valore di queste due misure – circa due miliardi – dovrebbe/potrebbe essere recuperato da una revisione del Reddito di cittadinanza. Le risorse necessarie per la pace fiscale salterebbero così fuori da una partita di giro tra entrate-uscite dello Stato. Come vuole Meloni.

Ma Forza Italia frena sulla revisione del Reddito che prevede di tagliare il sussidio a partire da giugno per circa 700mila percettori, i cosiddetti occupabili. «Non è questo il modo di procedere, la misura va riformata ma non si possono lasciare 700mila persone sprovviste di reddito senza un paracadute», è la linea degli azzurri. Che trova qualche adepto anche nella Lega. Maggioranza spaccata quindi. L’ipotesi più quotata alla fine del vertice di maggioranza pre Consiglio è un rinvio della misura al 2024 e usare questo tempo per ripensare le misure in favore della povertà e contro la disoccupazione. I due miliardi persi dalla revisione del Reddito, dovrebbero essere presi, su suggerimento di Forza Italia, da una revisione della tax expenditures, i numerosissimi sgravi fiscali di ogni genere e tipologia (circa 600) che stando alle ultime stime incubano fino a 70 miliardi. Il taglio delle tax expenditures per finanziare il taglio delle tasse e la flat tax è un vecchio cavallo di battaglia di Forza Italia. Gli azzurri sarebbero però costretti a fare il passo indietro più doloroso: niente da fare per le pensioni minime a mille euro. Giorgetti è stato chiaro: o le minime o Quota 103, entrambe non si possono fare.

Una norma “di entrata e non di uscita” l’ha escogitata il ministro dell’Ambiente e dell’energia Gilberto Pichetto Fratin. Si tratta di un price cap nazionale per le rinnovabili, un tetto ai ricavi che non possono superare i 180 euro (oggi sono a 140 circa). È una norma antispeculazione e ristretta alle imprese. Meloni e Giorgetti non avrebbe invece ceduto invece sui bonus edilizi: saranno tutti rivisti, non solo il 110%. Da questa revisione sono attesi 2/3 miliardi. «La manovra è chiusa e sono presenti le misure chieste dalla Lega», ha detto Salvini lasciando il vertice di maggioranza pre-Consiglio. «Politicamente è fatta, manca giusto qualche numero», ha detto sornione Giorgetti. Il Consiglio dei ministri inizia. Il testo della manovra sarà approvato. Non c’è nessuna delle misure annunciate in campagna elettorale. I punti di frattura importanti sono almeno quattro: pensioni, Reddito, scudo fiscale, taglio dell’Iva.

La battaglia si sposta in Parlamento. «Non possiamo sbagliare», ripete Meloni. Ma la domanda è un’altra: questi 32 miliardi saranno sufficienti per arrivare a marzo- aprile. Poi le misure dovranno essere rifinanziate. “Come” è il grande punto interrogativo. Mario Draghi tra gennaio e agosto 2022 ha fatto tre decreti Aiuti per un valore di 60 miliardi. Senza fare scostamento di bilancio. Grazie al buon andamento dell’economia e alla crescita superiore alle attese. Le previsioni non sono così rosee per il prossimo anno. A meno che non finisca la guerra. E allora, solo allora, il governo potrà iniziare a soddisfare qualche promessa.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.