Immaginiamo l’Italia istituire un giorno per celebrare i criminali fascisti. Non è minimamente immaginabile, vero? Qualcosa di paragonabile succede ogni anno in Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina): il 9 gennaio si celebra l’istituzione (fuorilegge) di questa entità. Perché gli accordi di pace, gli accordi di Dayton firmati nel 1995 tra Stati Uniti, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Croazia, riconoscono la Republika Srpska come parte dello stato della Bosnia ed Erzegovina – ma il 9 gennaio celebrato come data ufficiale di istituzione della Republika Srpska è quello del 1992, prima dello scoppio della guerra e dell’assedio di Sarajevo, prima di Srebrenica, prima dei crimini di guerra. È la data in cui la Republika Srpska si è istituita come territorio serbo con l’obiettivo della sua indipendenza dalla Bosnia ed Erzegovina.

La Corte Costituzionale bosniaca ha più volte dichiarato questa giornata inconstituzionale, eppure ogni anno sembra che Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska, ci tenga a gonfiare le celebrazioni e gli ospiti “illustri”: quest’anno Viktor Orban ha ricevuto una medaglia, e ha preso parte alle celebrazioni anche un’associazione di paramilitari russi.

Il problema non è la celebrazione del giorno della Repubblica Srpska in sé, ma la scelta della data, il 9 gennaio, messo in evidenza da una decisione del 2015 da parte della Corte costituzionale. La stessa Corte, con una sentenza del 29 marzo 2019, ha nuovamente dichiarato incostituzionale il 9 gennaio, ovvero ha annullato la parte dell’articolo della Legge sul Giorno della Repubblica Srpska che recita “sulla base della volontà confermata dei cittadini della Repubblica Srpska, il 9 gennaio è stabilito come Giorno della Repubblica” poiché „non è conforme a diversi articoli della Costituzione della Bosnia-Erzegovina e della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e dell’articolo 1 del Protocollo n. 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Come dichiarato, “si basa su eventi storici che sono significativi e importanti per un solo popolo della Repubblica Srpska, cioè per il popolo serbo”. E la stessa argomentazione vale, in un paese multireligioso, anche per il profilo religioso, perché il 9 gennaio corrisponde alla festa di S. Stefano nella chiesa ortodossa.

La celebrazione del 9 gennaio come Giornata della Republika Srpska viola non solo la Costituzione della Bosnia-Erzegovina, ma anche la Costituzione dell’entità Republika Srpska, ha chiarito la Missione OSCE in Bosnia-Erzegovina. Inoltre, dichiarando che la disobbedienza alle decisioni della Corte Costituzionale della Bosnia ed Erzegovina costituisce un reato penale, l’alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia ed Erzegovina, Christian Schmidt, ha invitato la Procura della Bosnia-Erzegovina e la polizia a prendere le misure appropriate previste dalla legge. Questi inviti però non sono stati seguiti, e ora la credibilità stessa di Schmidt è a rischio (nel 2023 aveva dichiarato di prendere provvedimenti seri se nel 2024 fosse stato di nuovo celebrato il giorno 9, eppure alle parole non sono seguiti i fatti).
Bisogna chiedersi se le dichiarazioni contrarie dei vari attori internazionali abbiano un qualche tipo di effetto. Di sicuro c’è che i cittadini bosniaci (non serbi) si chiedono perché questo tipo di commemorazione non venga vietata una volta per tutte e perché non ci sia alcun tipo di sanzione nei confronti del presidente Dodik (serbo-bosniaco) e di chi vi partecipa.

Questa commemorazione va a discapito di altri gruppi che abitano in Bosnia ed Erzegovina, sottolinea una narrativa storica controversa e con poco fondo di verità, e non tiene in considerazione il fatto che la Republika Srpska è nata sopra le macerie di Sarajevo e le vittime di Srebrenica. Intollerabile, soprattutto per un paese che vuole aprire i negoziati con l’Unione europea. Sembra sempre di più che non tutto il paese è di questa idea; la parte serba vuole un avvicinamento alla Serbia (e alla Russia), più che all’occidente. Non servono grandi conoscenze sulla Bosnia ed Erzegovina per accorgersi che il paese, spaccato in due, non può difendersi da una narrazione sbagliata della storia, se perfino gli attori internazionali non intervengono (più) a modificarla legittimando di fatto lo status quo.

La Bosnia ed Erzegovina avrebbe bisogno di pace, di stabilità, ma soprattutto di giustizia. Tante famiglie delle vittime di Sarajevo, di Srebrenica, dei campi di concentramento, aspettano ancora i processi ai criminali di guerra che hanno torturato, picchiato, ucciso, stuprato, i loro famigliari. Quegli stessi criminali che oggi sono a piede libero in Serbia o in Republika Srpska, e che partecipano alla cerimonia del 9 gennaio, ogni anno, senza alcuna vergogna. Così una riconciliazione è impossibile.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.