L'intervento
Riformismo, il futuro si gioca nelle periferie

Le aree urbane europee ospitano oltre i due terzi della popolazione dell’Unione, rappresentano circa l’80% del consumo di energia e generano fino all’85% del Pil europeo. Sono oggi i motori dell’economia europea e fungono da catalizzatori per la creatività e l’innovazione di tutto il continente. Tuttavia tra le mille luci della città si nascondono luoghi di marginalità e emarginazione, i “territori di margine” dove contraddizioni e problemi sono diventati più visibili e più urgenti. Urgenti per chi? Chi ha responsabilità politiche e vuol far vivere un progetto riformista, oggi deve tornare a riflettere e approfondire il nostro contesto sociale, per ricostruire un pensiero che sia condizione per una iniziativa politica più efficace.
Questo vale moltissimo per il tema delle cosiddette periferie, geografiche ma anche sociali e politiche. Se serve una conferma, basta guardare alle elezioni di giovedì in Gran Bretagna: precarietà, insicurezza, ingiustizia sociale stanno portando con sé una frattura fra classi popolari, democrazia, riformismo. È il paradosso del nostro tempo: un modello neoliberista di globalizzazione, a cui da sinistra non è venuta una vera alternativa, ha fatto crescere iniquità e incertezza, indebolendo a tal punto la politica, da portare chi è più colpito da quei fenomeni a cercare una risposta in un populismo reazionario e in una vera e propria deriva di destra. Per questo bisogna tornare a studiare e a approfondire, come faremo oggi con la presentazione alla Camera di una bella e interessante ricerca dedicata alle classi popolari, alle periferie e al rapporto con la politica sul solco del lavoro portato avanti nella scorsa legislatura dalla Commissione di inchiesta sulle periferie della Camera, di cui sono stato componente e che non è stata confermata in questa legislatura, per la bocciatura di una proposta di legge del Pd su indicazione dell’allora Governo giallo-verde.
Studio e valori forti di riferimento. In particolare sapere che il nesso fra la libertà e la giustizia sociale, che ha caratterizzato una lunga fase della storia del riformismo, è oggi più attuale che mai.
Se la Storia ci insegna che non si conquista la giustizia sociale senza la libertà è vero anche il contrario: senza più equità, le nostre società saranno sempre meno libere. Serve il coraggio di scelte politiche forti. A livello europeo, perché solo una nuova stagione dell’Unione Europea nel segno dell’unità politica può rappresentare la cornice di una efficace lotta alle disuguaglianze a fronte delle attuali dinamiche economiche. E ancora concretezza nella azione di governo. Ad esempio la capacità di far vivere un moderno modello di sicurezza. Fatto di certezza della pena, repressione dei reati, ma nello stesso tempo della consapevolezza della centralità della coesione sociale e dell’integrazione – nel senso di comunità – nel contrasto a criminalità e degrado. Una concretezza che guardi in faccia il fenomeno migratorio, senza demagogia, ma sapendo mettere al centro un discorso forte di parità di diritti e di doveri.
Infine, ma non da ultimo, servono attori più credibili e presenti sul territorio. Una vera filiera istituzionale, che metta in sinergia chi agisce nella cosa pubblica. La grande efficacia dimostrata dal bando periferie nella scorsa legislatura è stata legata certo ai 2 miliardi e passa di Euro stanziati, ma ancora di più all’effetto moltiplicatore sul territorio di buone pratiche e impegni finanziari, a partire da comuni e città metropolitane. E certamente c’è un tema che riguarda i partiti politici. Senza soggetti collettivi forti le nostre comunità sono più deboli e fragili. A mio avviso è nella riscoperta del suo radicamento sul territorio e anche di una sua dimensione organizzativa dal basso che la politica che vuole difendere e promuovere i valori costituzionali potrà trovare la chiave per affrontare le sfide di oggi. Perché come dice il sociologo Aldo Bonomi «l’innovazione dall’alto, da sola, non produce cittadinanza attiva. Questa si aggrega dal basso nella “voglia di comunità”».
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