Questo è un romanzone. Chiariamo subito: in senso positivo. Dentro “Ritorno in Puglia”, Marco Ferrante ha messo molti ingredienti pur facendo restare la pietanza assolutamente compatta, come accade ai libri di spessore. Un romanzone, questo, per l’intrico di volti e storie, un po’ come certi classici: e forse non siamo più abituati alla sinfonia letteraria circondati come siamo da romanzi brevini, racconti lunghetti, storielline di sesso e tanta tanta autoreferenzialità autoriale. Poi ti trovi tra le mani questo romanzo e ti senti catapultato in una dimensione più complessa, difficile da spiegare.

Ritorno in Puglia” (di chi? Forse dell’autore, pugliese doc?) racconta la vicenda della famiglia Bleve, impasto di modernità e radici antiche, siamo nel brindisino negli anni Novanta, la guerra in Serbia, gli albanesi sbarcano con il loro enigmatico carico di umanità e disumanità, e questo è un’opportunità per Bernardo Bleve, gran personaggio che inevitabilmente si associa al principe di Salina (il Sud è cambiato ma fino a un certo punto), che ha fatto della vecchia agricoltura un tempo latifondista il cuore della moderna agroindustria e che è ovviamente il pater familias, un Gattopardo a cavallo del millennio, un pasticcio di progressismo e conservatorismo, una figura forte votata al dubbio: «Ma non sono anch’io prigioniero della mia stessa vita? Può essere che a un certo punto dovrò fare i conti con il mio status di prigioniero delle mie comodità di uomo ricco? Impossibilitato ad agire per proteggere tutto questo…».

Cioè i figli, la terra, l’azienda: proteggere, l’imperativo categorico di un Gattopardo del nostro vecchio Sud. Intorno a Bernardo c’è la sua famiglia, i figli innanzitutto, specie Pietro che appunto torna in Puglia: «Pietro si versò ancora da bere. Gli pareva il giusto risarcimento che la civiltà gli offriva in cambio di mesi di studio. Tornare a casa è la felicità e anche la premessa di un piccolo dolore quando si andrà via di nuovo. La terrazza aveva preso un colore crepuscolare, il grigio del pavimento si mescolava ai mutevoli bagliori rossastri che filtravano tra il gelsomino e il rincospermo. L’ultima luce del sole era alle sue spalle…».

E via via sfila una selva di personaggi, forse troppi, a comporre un affresco sociale contraddittorio e tutto sommato di non eccelsa qualità. Ma la grande protagonista è la Puglia, una terra che si stenta ad afferrare, come avesse in se stessa troppa evanescenza, una coltre misteriosa adagiata nel tempo eterno della Storia. Ed è una cosa molto da meridionali questo sentirsi avviluppati in una memoria antichissima, comunque nobile ma sempre un po’ maledetta. Eccola, la terra di Ferrante, i nomi dei suoi paesi e paesini, il suo doppio mare, le sue campagne, le masserie e gli ulivi, e persino il clima ha un che di ambiguo tra il calore degli spiazzi e la brezza del mare. Marco Ferrante, che oltre ad essere romanziere è anche ottimo giornalista, infila di diritto questo “Ritorno in Puglia” negli scaffali alti della narrativa italiana contemporanea.