Di Michel Piccoli, morto nei giorni scorsi nella sua casa di Saint-Philibert-sur-Risle, in Normandia, a 94 anni, porteremo sempre con noi il ricordo del profilo lievemente carenato, la fronte ampia, le sopracciglia signorili lì a brillare sotto la stempiatura, il passo signorile, ma soprattutto ci tornerà in mente il personaggio compassato eppure estremo, l’uxoricida, da lui interpretato magistralmente in Dillinger è morto di Marco Ferreri, 1969. Con l’uomo dapprima alle prese con un paziente lavoro di ritrovamento di una pistola da pitturare di rosso a pois gialli e infine pronta a fare fuoco, attraverso il cuscino, sulla testa della consorte addormentata; un manifesto esistenziale e insieme politico del rifiuto del banale quotidiano girato in quella che era stata la casa del pittore Mario Schifano.
E ancora, fuori dal set, rammenteremo la risposta che, in tempi più recenti, da interprete di un pontefice divorato dal dubbio, in Habemus Papam di Nanni Moretti, dette a chi, i giorni delle dimissioni di Ratzinger, nel 2011, gli chiedeva come si sentisse ad avere interpretato un evento che in parte si era poi avverato, e lui a replicare seccamente «… sono un attore, recito, non mi identifico con i personaggi del mio lavoro». Nato nel dicembre del 1925 a Parigi in una famiglia di musicisti, per metà italiana e per metà francese, Piccoli deve i prodromi della sua fama consolidata al ruolo che Jean-Luc Godard gli affida ne Il disprezzo (1963): sembra di rivederlo a spasso nella Roma assolata del romanzo di Moravia, abito a tre bottoni, cappello scuro a tesa corta, così tra le palazzine della Roma residenziale, Collina Fleming o Vigna Clara, e poi il sole di Capri a strapiombo sul tetto-solarium della villa di Malaparte.
Di quel connubio dirà: «J’étais habillé comme lui. Il y a eu, là encore, un effet de mimétisme. J’étais son image». Michel come doppio di Jean-Luc. Un volto straordinario, perfetto, ritagliato anche per interpretare le maschere di Luis Buñuel, ma anche, come altri attori suoi conterranei, pensate a Lino Ventura, poliziotti austeri e insieme tormentati, vedi anche Jean-Louis Trintignant. E ancora di Piccoli va ricordato quando, a 37 anni, interpreta Lo spione di Jean-Pierre Melville, accanto a Jean-Paul Belmondo e Serge Reggiani. I capelli ricci e presto brizzolati, la calvizie giovanile, le basette signorili come segno distintivo, le sopracciglia ancora una volta marcate, ipnotiche; Piccoli ha saputo essere attore di poche parole, ma anche, tornando al modi in cui lo ha trasfigurato Marco Ferreri, un attore feticcio nel quartetto delirante de La grande abbuffata, accanto a Noiret, Mastroianni e Tognazzi, un gran maestro dell’insofferenza esistenziale, vittima di violente crisi di meteorismo, strozzato dal cibo fino al parossismo, pronto a morire proprio durante una crisi di aerofagia.
Tra “nouvelle vague” con Agnès Varda e Jacques Rivette, incursioni nel cinema di genere di Mario Bava con Diabolik, dove è nei panni dell’ispettore Ginko, e ancora Buñuel di La via lattea (1968) e Claude Sautet, altro regista che ne farà un volto tipico del proprio cinema, fra molto altro ne Il commissario Pellissier accanto a Romy Schneider. In verità, citando Bellocchio e Manoel de Oliveira e Hitchcock (Topaze, 1969), faremmo torto a Piccoli se non rimarcassimo ancora una volta la sua cifra, come dire, prossemica, il tratto della figura, il portamento, ideale per farne ora un giudice, ora un alto funzionario dello Stato, un tipo congeniale per raccontare in scena il potere e i suoi spettri compunti, e insieme il seduttore che non scelse mai davvero di identificarsi nel paradigma prevedibile di Don Giovanni.
Piccoli è stato sposato, in seconde nozze, per oltre un decennio, con Juliette Gréco, leggenda della stagione dell’Esistenzialismo parigino, che di lui, riferendone l’indole riservata, diceva di non essere mai riuscita «a penetrare nell’enigma Piccoli». L’attore a suo modo confermava l’intuizione: «Mi piacciono il segreto e il dubbio». Piccoli non ha mai fatto mistero d’essere una persona di sinistra, così da esprimere più volte pubblicamente il suo sostegno al Parti Socialiste di François Mitterrand e dei suoi successori, non avendo nel contempo timore di mostrare avversione verso l’estrema destra xenofoba e sciovinista del Front National di Le Pen padre e figlia Marine.
È stato un ictus cerebrale a causarne la morte il 12 maggio 2020 nella sua residenza di Saint-Philibert-sur-Risle, tuttavia la famiglia ne ha comunica il decesso soltanto ieri, lontano da ogni intento cerimoniale in tempi di coronavirus, accudito dalla terza moglie, Ludivine Clerc, sceneggiatrice, e da Enord e Missia, i loro due figli, entrambi adottati in Polonia. Un altro pezzo di mondo irripetibile (e in rivolta) ci lascia.
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