La porta della residenza presidenziale è stata aperta nel cuore della notte: “Se li volete cercateli, non li troverete”. Una maxi perquisizione con oltre 40 tra agenti di polizia e magistrati nell’abitazione e nell’ufficio della presidente del Perù, Dina Boluarte, in un’operazione durata oltre 10 ore, nell’ambito di un’indagine per corruzione che riguarda una collezione di una quindicina di orologi di lusso, tutti di provenienza ignota.

I Rolex che la presidente non avrebbe denunciato nella dichiarazione dei redditi erano finiti al centro del ciclone già lo scorso 15 marzo, quando un portale d’informazione locale aveva pubblicato alcune foto che mostravano Boluarte indossare una serie di orologi tra il 2021 e il 2022.

All’inizio delle indagini, che ipotizzano un arricchimento illecito, per una collezione di preziosi che la presidente non avrebbe dichiarato, l’avvocatessa peruviana aveva ammesso di possederne uno soltanto acquistato con i guadagni accumulati da quando era poco più che maggiorenne e nei suoi anni da funzionaria pubblica. In effetti nessun Rolex è stato trovato durante la perquisizione, nonostante l’intimazione della Procura a Boluarte di consegnare tutti gli orologi in suo possesso. Ora la presidente sarà ascoltata dalla procura il prossimo 5 aprile, ma dopo oltre 3 mesi di proteste, ma Dina Boluarte è ancora al suo posto e anche dovessero emergere eventuali reati commessi dal capo dello Stato, un processo nei suoi confronti non potrebbe iniziare  prima della fine del suo mandato nel 2026.

Le dimissioni dei ministri

Il caso arriva in uno dei momenti più tumultuosi anche per il governo. Il 5 marzo scorso sono arrivate le dimissioni del primo ministro Alberto Otárola, con l’apertura di un’inchiesta per traffico di influenze illecite, sostituito da Gustavo Adrianzén, che ha definito la perquisizione “un affronto intollerabile alla dignità della presidente della repubblica e della nazione che rappresenta”. 

Il domino dell’esecutivo è iniziato con la rinuncia all’incarico del ministro dell’interno Víctor Torres, che ha lasciato il palazzo presidenziale presentando le sue dimissioni a Boluarte. Era in carica dal 21 novembre e come motivazione ha addotto “problemi familiari”. Poi è stata la volta dei ministri dell’istruzione, delle donne, dello sviluppo agrario, della produzione e del commercio estero. E due giorni dopo il rimpasto di governo si è concretizzato, con i sei ministri nominati al posto dei dimissionari che hanno prestato giuramento. Un atto dovuto per permettere al Parlamento di concedere la fiducia al nuovo governo, evitando fra l’altro possibili problemi derivanti dall’esame di una istanza presentata da partiti di opposizione per la destituzione di Boluarte per “provata incapacità morale”.

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