Non è neanche cominciato il caldo ed i taxi nelle grandi città sono già introvabili. Le musichette al telefono in attesa di un’auto bianca sono le vere hit dell’estate. Le app, onnipresenti in altri Paesi, qui sono ferme alla frontiera o sono costosissime: una nota app di intermediazione applica un sovraprezzo di 3 Euro per ogni corsa. Uber in tutto il mondo è un’alternativa economica e sicura per coloro che preferiscono sapere chi è l’autista che eventualmente verrà (chiedere a un qualsiasi straniero). In Italia invece la piattaforma americana costa di più, e gli NCC di cui si serve sono vessati da norme bizantiniane. Risultato: infinite file per i taxi alle stazioni ed aeroporti, autogestite in modo discrezionale e nel disinteresse delle istituzioni locali.

Il telefono alla guida, le radio calciofile e il POS puntualmente rotto

Nel mentre, a bordo delle inaffondabili auto bianche non c’è tassista che non parli a telefono o chatti H24, con buona pace del codice della strada. Oppure c’è sicuramente una radio locale che parla di calcio; qualche autista più ardito ascolta Cruciani che sbraita a “La Zanzara”. Salire a bordo è uno specchio del Paese, meglio di qualunque corso di sociologia. Alle volte ne servirebbe anche uno di igiene: il tanfo di alcune auto è insopportabile. Al momento del pagamento il POS è per fortuna meno rotto di un tempo. Tuttavia, la ricevuta è un semplice pezzo di carta che neanche in un paradiso fiscale sarebbe considerata tale. Scene di vita vissuta ogni giorno da decine di migliaia di utenti, ma evidentemente – per loro fortuna – da nessuno della classe politica.

I redditi medi dichiarati dai tassisti

Altrimenti non si spiega come mai non sia già emersa prepotente la consapevolezza nel legislatore di una riforma del settore. Partendo dal controllo fiscale: è un insulto all’intelligenza leggere che i redditi medi dichiarati dai tassisti siano 15.000 Euro l’anno – la metà di quanto si guadagna in Italia (33.000 Euro). Vi sono poi standard di qualità ambientale che andrebbero assicurati. Se le aziende di trasporto pubblico locale spendono centinaia di milioni di Euro per rimpiazzare i bus più antiquati, e i cittadini sono ormai ossessionati da zone a traffico limitato con esenzioni solo per i veicoli meno inquinanti o elettrici, i taxi non hanno alcun genere di limitazione. Risultato: sono tante le vetture vetuste. L’attuale sistema delle licenze poi non favorisce la concentrazione di parchi auto causando un panorama frammentato: invece di poche identificabili realtà, una miriade di circa 28.000 padroncini che in teoria dovrebbero rispondere ai Comuni che erogano le licenze, ma in realtà perorano la loro causa in autonomia.

Il trasporto pubblico non c’è

Certo, il panorama del trasporto pubblico locale nelle grandi città non aiuta. Il taxi è in ogni parte del mondo un servizio aggiuntivo rispetto a metrò e bus. In Italia è spesso invece l’unica alternativa di mobilità, soprattutto nelle caotiche Roma e Napoli. La domanda dunque è molto alta anche per demeriti nella pianificazione, e non solo per singole preferenze di mobilità. Allo stesso tempo, a Roma ci sono 7.800 taxi, a Dublino 11.000, Parigi e Madrid più di 15.000.

Un referedum giusto

Se si è stufi di una situazione che ci rende ridicoli agli occhi degli stranieri e complica inutilmente la quotidianità di tanti per tutelare gli interessi di pochi, una soluzione c’è: firmare per il referendum proposto dai Radicali Italiani e dal comitato Muoviti Italia, presentata lo scorso 28 maggio alla Camera dei Deputati. Una legge di iniziativa popolare per riformare la “disciplina dell’attività di trasporto al pubblico” in modo radicale trasferendo le competenze delle licenze alle regioni, prevedere un apposito albo in cui inquadrare la categoria, con monitoraggio biennale per immettere sul mercato nuove auto bianche. Il tutto con un maggior controllo dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART). Per firmare basta andare sul sito firmereferendum.giustizia.it ed effettuare il login con lo SPID. Ci vuole molto meno che chiamare un taxi: provare per credere, e per provare a cambiare.

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Roberto Calise (Napoli, 1987) è il responsabile delle relazioni istituzionali di una multinazionale di trasporto passeggeri su gomma. In precedenza, ha lavorato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al dipartimento studi della Commissione Trasporti del Parlamento Europeo, e come collaboratore parlamentare in Commissione Trasporti alla Camera dei Deputati. Da giornalista collabora con diverse testate ed è stato inviato al G7 dei Trasporti di Cagliari nel 2017, al G20 dell'Energia e dell'Ambiente di Napoli nel 2021, e nuovamente al G7 dei Trasporti, questa volta a Milano, nel 2024.