Alla fine, come avevamo previsto in queste colonne a maggio, Pedro Sánchez, che avevamo allora paragonato a un gatto dalle sette vite per la sua capacità di superare le difficoltà, ce l’ha fatta: con 179 voti contro 171, 3 sopra la maggioranza assoluta, è stato riconfermato come primo ministro spagnolo. E a chi dice che i 179 voti sono risicati, i socialisti hanno mostrato una semplice tabella che dimostra che è dal dicembre 2011 – data della prima fiducia a Rajoy con 186 sì – che la Spagna viene governata con molti meno voti in parlamento.

L’agenda

Certo, non tutti i problemi sono risolti. Ci sarà da governare con una maggioranza assai composita, anche se è vero che il sistema costituzionale spagnolo una volta superato lo scoglio della fiducia consente al governo maggiore margine di manovra, ad esempio rispetto all’Italia. Ci sarà da far approvare la legge sull’amnistia che sta ancora scaldando le piazze spagnole, con un patto di ferro tra l’estrema destra di Vox e i popolari che lascia interdetti i moderati ma con gli ultimi sondaggi che non stanno premiando i socialisti. Dopo la legge sull’amnistia che serve a mettere una pietra sopra sul passato, ci sarà da disegnare un percorso che risolva le spinte indipendentiste basche, galiziane e soprattutto catalane, con un nuovo patto sull’autonomismo che è la sfida principale che Sánchez ha di fronte: non solo “perdonare”, ma anche affrontare con la politica le regioni che aspirano all’indipendenza dalla Spagna.

Il successo

Il dato politico principale della giornata di ieri è che, comunque, ce l’ha fatta. Il cinquantunenne leader socialista ha dimostrato più volte di saper giocare d’azzardo e vincere scommesse che apparivano impossibili e l’ha spuntata anche stavolta dopo che, presa una pesante batosta elettorale alle amministrative di maggio scorso, ha convocato per il 23 luglio – nel pieno di un’estate rovente e appena iniziata la presidenza spagnola della Ue – le elezioni anticipate, scommettendo tutto contro i pronostici che lo davano per sconfitto.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva