Nel “Si&NO” del Riformista spazio all’accordo in Spagna tra il Psoe di Pedro Sanchez e Junts, il partito degli indipendentisti catalani guidato da Carles Puigdemont. Giusto l’accordo? Favorevole Alessio De Giorgi, direttore del Riformista.it, secondo cui l’intesa che farà nascere il nuovo governo porterà a “chiudere il cerchio superando i drammatici fatti del 2016“. Contrario lo scrittore Andrea Venanzoni che ribatte: “Quest’accordo rischia di essere la pietra tombale dell’autonomia e la miccia di tensioni”.

Qui il commento di Andrea Venanzoni:

La formazione del Governo Sanchez sta portando la Spagna sul ciglio del baratro, e non solo per le fortissime tensioni che percorrono le piazze e le strade del Paese in questi giorni ma, più prosaicamente e drammaticamente, perché il processo di accordo con gli indipendentisti catalani di Junts sembra innervarsi in un personalismo che ruota tutto attorno Sanchez e la sua volontà, ad ogni costo, di trovarsi confermato alla guida della Spagna. Da un lato, infatti, il già abbondantemente conclamato massimalismo di sinistra del governo, emergente da certe dichiarazioni di esponenti di Sumar e da altre tensioni, quelle filopalestinesi a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi, è paradigma assai limpido di un governo che non nasce sotto i migliori auspici in termini di pacificazione. Dall’altro lato, a preoccupare se non addirittura inquietare, sono gli asimmetrici e sbilenchi presupposti dell’accordo con Junts. Lo scrivo da grande sostenitore del riconoscimento della massima autonomia per la Catalogna, l’accordo rischia di essere la pietra tombale, in futuro, della stessa autonomia, e sul breve periodo può davvero operare come miccia di accensione di tensioni sociali e politiche sfocianti in autentica violenza. Giocare con il fuoco, in un contesto come questo, per poter governare a ogni costo o per la scelta del male minore, l’esclusione di Vox, rischia di presentare un conto assai salato.

C’è poi un aspetto del tutto insopportabile in questa vicenda, ovvero il solito doppio standard valutativo da parte di opinione pubblica e soprattutto Unione Europea: tanto preoccupata per il vulnus arrecato allo Stato di diritto dalle riforme involutive di Polonia e Ungheria che avrebbero secondo la Commissione alterato le dinamiche di equilibrio tra poteri, quanto stranamente silente nei confronti di un accordo che tra i propri punti fondanti nei fatti prevede la radicale messa in discussione di una pronuncia costituzionale, ovvero la nota sentenza del Tribunale costituzionale che portò alla declaratoria di incostituzionalità di diverse disposizioni della legge organica che recava lo Statuto catalano. Un intervento a gamba tesa, si parla anche della istituzione di una Commissione in tal senso, di legislativo ed esecutivo, a tenaglia, nei confronti del giudiziario; aspetto questo che fosse accaduto in Polonia, Ungheria o in Italia, dove si strepita addirittura di cesarismo per la riforma costituzionale proposta dal governo Meloni, avrebbe già cagionato gli alti strepiti della Commissione UE e di quella parte di mass media da sempre sensibili, a corrente alternata, alla separazione dei poteri.

Anche la stessa amnistia, il pezzo forte con cui Sanchez ha voluto ingolosire Puigdemont, presenta non banali problemi di ordine politico: perché i reati contestati in occasione del referendum auto-organizzato del 2017 non sono semplicemente dei reati di matrice politica, ma in alcuni casi si tratta ad esempio di contestazioni di malversazione. Un segnale devastante anche in termini di moralità politica e un colpo di spugna che oblia le ipotesi, gravissime, di intromissioni della Russia nel referendum del 2017. L’accordo poi, se lo si valuta in maniera laica, è davvero, come scritto prima, sbilenco. L’immagine delle ‘convergenze parallele’, cioè di una sorta di compromesso finalizzato al potere da cui le due parti, pur destinate a non incontrarsi nel merito e nella sostanza, possano trarre reciproci benefici è stata valutata criticamente anche da una parte della stampa di sinistra e da politici interni allo stesso Partito socialista. Ad essere incoerente è la modulazione stessa del modo in cui si vorrebbero ridefinire i rapporti tra centro e periferia, vera questione calda che divide le piazze in Spagna. Da un lato, si sembra seguire la via di una forte autonomia, ad esempio per quanto riguarda i finanziamenti, poi però su altri temi si evoca un’autentica sovranità catalana, configurandola come Stato separato: le due cose non stanno logicamente assieme e rischiano solo di creare il caos, aspetto questo propiziato anche dalla divergenza quasi ontologica tra le forze che pure ambiscono a governare assieme.