Se c’è un uomo della nostra storia repubblicana che nell’immaginario collettivo è riuscito a far convivere nella stessa persona la figura del nonno e quella del Presidente è sicuramente Sandro Pertini. È ancora oggi ricordato come il presidente degli italiani, il più amato, il nonno d’Italia, il presidente di Spagna ’82. Quest’ultimo è un riflesso incondizionato; quando si parla di Pertini viene subito in mente la vittoria al Mondiale del 1982, la sua esultanza istintiva al Bernabeu e il suo “Non ci prendono più” dopo il terzo gol azzurro di Altobelli, la partita a carte in aereo con Bearzot, Causio e Zoff di ritorno da Madrid insieme alla Coppa del Mondo.

Ma Pertini ovviamente è stato tanto altro. Combattente durante la Prima guerra mondiale, partigiano e uomo di spicco della Resistenza sul finire della Seconda. Costretto al confino sull’isola di Ventotene prima e catturato a Roma dai nazisti poi. Celebre la sua rocambolesca evasione dal carcere di Regina Coeli insieme ad un altro futuro presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.

Indimenticabile il suono della sua voce che il 25 aprile del 1945 annuncia dai microfoni di Radio Milano Libera lo sciopero generale contro l’occupazione tedesca: “…come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire”. Fu deputato all’Assemblea Costituente, presidente della Camera per due legislature, fino a diventare quindi il settimo presidente della Repubblica Italiana l’8 luglio del 1978, con il più alto consenso mai registrato (82,3%) per l’elezione di un Capo dello Stato.

La sua elezione avvenne in un momento molto delicato per le nostre istituzioni. A soli due mesi dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, nel pieno degli Anni di piombo, Sandro Pertini era chiamato a ricucire lo strappo che si era creato tra i cittadini e le istituzioni repubblicane. Un compito faticoso, che soltanto un uomo della sua personalità, del suo temperamento e anche della sua testardaggine poteva intraprendere.

Il carattere istintivo, passionale, a tratti burbero (lui stesso diceva: “tutte le persone di carattere hanno un brutto carattere e io modestamente ho un brutto carattere”), il parlare chiaro e senza filtri, furono alcuni dei segreti del successo di Sandro Pertini e dell’affetto che lo sommerse. Le persone riuscivano a immedesimarsi in lui, si sentivano finalmente comprese e rappresentare da un uomo fuori dagli schemi tradizionali; un uomo al quale non piaceva andare per il sottile, anche a costo di commettere qualche imprudenza, ma sempre con quella eccezionale genuinità che gli veniva riconosciuta.

A Pertini piaceva circondarsi di questo affetto, non disdegnava i bagni di folla durante le sue numerose visite lungo la penisola, e amava, qualcuno dice anche troppo, sentirsi al centro della scena. Questo eccessivo protagonismo gli costò qualche inciampo. Qualcuno criticò e giudicò ingombrante la sua presenza durante le disperate operazioni di soccorso per salvare il piccolo Alfredo Rampi, caduto in un pozzo a Vermicino, nei pressi di Frascati. La drammatica vicenda di Alfredino segnò nel profondo Pertini, così come tutti gli italiani. Pertini accorse anche in Irpinia nel novembre del 1980 per consolare i terremotati e denunciare il ritardo e l’inefficienza dei soccorsi.

Fu proprio questa sua denuncia che diede il via all’organizzazione di un sistema di cooperazione tra Stato, Regioni ed enti locali sul quale si fonda oggi la struttura della Protezione Civile nazionale. Pertini viene ricordato anche per un’abitudine particolare, alla quale gli italiani assistono per la prima volta durante la sua presidenza: il bacio della bandiera. Il politico ligure non perdeva occasione per compiere questo gesto così intimo e simbolico, e non si limitava a farlo soltanto con la bandiera italiana.

Durante una visita negli Stati Uniti il presidente Reagan rimase particolarmente commosso (come scrisse nei suoi diari) quando vide Pertini avvicinarsi a un Marine e baciare la bandiera americana. Sono tante le cose della vita di Sandro Pertini che meritano di essere ricordate ma che per ragioni di spazio sarebbe impossibile elencare. Vale la pena però chiudere il nostro racconto del presidente partigiano menzionando un ultimo aspetto che lo caratterizzava: il rapporto con i giovani.

Pertini si rivolgeva spesso a loro nei suoi discorsi, parlava con loro quando poteva, cercava con loro un confronto costante. Nel corso del suo primo discorso di fine anno al Quirinale, nel 1978, Pertini disse che “… i giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo”. Ecco, in questo Pertini fu impareggiabile, nel capire l’importanza di educare le nuove generazioni e nel comprendere soprattutto che nulla come l’esempio risulta maggiormente efficace per contribuire alla crescita di un giovane. È questo, a mio avviso, il servizio più alto che con la sua vita esemplare Sandro Pertini ha cercato di rendere agli italiani.

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Nato a Cosenza 27 anni fa, vive a Roma dal 2015. Ha lavorato come giornalista tirocinante presso Mediaset RTI, nella redazione politica di News Mediaset (Tg4, StudioAperto, TgCom24). È laureato in Filologia Moderna alla Sapienza e ha conseguito il Master in Giornalismo radiotelevisivo con Eidos Communication. Si occupa di giornalismo politico. Redattore di Radio Leopolda, collabora alla Camera dei deputati. Ha scritto un libro su Giulio Andreotti. È fortemente interista, ma ha anche dei difetti