«Tanti proclami e pochi fatti. Nel frattempo, Scampia continua a essere lo specchio di Gomorra. La politica ha fallito, dia spazio alle associazioni». Ne è convinto Rosario Esposito La Rossa, scrittore ed editore da sempre impegnato nel sociale.

La libreria Mondadori all’interno del centro commerciale di Miano ha chiuso definitivamente i battenti, come legge questa scelta?
«Molto male, purtroppo. Forse quella libreria organizzava pochi incontri e quindi era solo un punto vendita. E questo ha inciso molto. Non era diventata un punto di riferimento per i ragazzi del quartiere, ma è un dispiacere enorme sapere che ha chiuso. Il problema è che ora ci sarà una grande attenzione mediatica per la chiusura: il problema è quando le cose sono in vita che c’è poca attenzione. Delle librerie ci si accorge sempre quando muoiono, mai quando sono aperte e bisognerebbe sostenerle».

C’è poca attenzione, e c’è stata sempre poca attenzione anche per Scampia. Recentemente lei ha detto che il futuro parte da Scampia che è il quartiere più giovane della città, la politica se né accorta?
«Penso che fra dieci anni Scampia sarà il fiore all’occhiello della Regione per diversi motivi. Innanzitutto è il centro della Città Metropolitana e logisticamente è uno snodo cruciale, anche per la metropolitana, e tra poco aprirà l’università. Negli ultimi dieci anni siamo passati da 144 morti ammazzati l’anno, 21 piazze di spaccio e 17 stanze del buco: quindi passiamo da un quartiere totalmente militarizzato a un quartiere che oggi fa parlare di sé soprattutto per le iniziative belle. E questo non è un merito della politica. La politica non c’entra niente con questo cambiamento. Un merito va riconosciuto alle forze dell’ordine che hanno smantellato piazze di spaccio e traffici. La gente poi è stata brava a occupare quei vuoti lasciati dalla criminalità organizzata con iniziative culturali e progetti di sviluppo. Ed è difficile che dove c’è bellezza, si insinui la delinquenza. Ultimamente abbiamo riqualificato un giardino abbandonato da anni, è quasi impossibile che lì si spaccerà. Scampia è un quartiere nel quale ogni 80 metri c’è una piccola rivoluzione, c’è la scuola calcio Arci Scampia che è la terza in Europa per numero di iscritti. C’è il ristorante rom Chikù, il centro culturale Mammut e tanti baluardi di legalità. Penso che in nessun altro quartiere della città ci sia questo associazionismo così forte. La politica credo che tutto questo non l’abbia capito. Si fanno solo molti proclami, ma pochi fatti».

Quindi la politica ha fatto poco e niente in questi anni…
«Assolutamente sì. La politica finora ha sbagliato a non dare un supporto a tutte le attività che le associazioni mettevano in campo. Per esempio, l’auditorium di Scampia è stato inaugurato più volte e più volte è stato chiuso. Dovrebbe essere il centro teatrale dell’area Nord di Napoli e invece stiamo ancora aspettando le scelte della politica. E quando riaprirà, se per ogni minima cosa da fare si dovrà chiedere il permesso alla Municipalità, diventerà una sala parrocchiale e niente più».

Cosa si dovrebbe fare, invece, con i tanti luoghi culturali presenti nelle periferie della città?
«Bisognerebbe affidarli alle realtà associative. Bisogna lasciare a chi vive il territorio il compito di programmare eventi e progetti. Il problema è che per avere degli spazi abbiamo bisogno della politica. Quindi, la politica dovrebbe innanzitutto sollevare gli assessori che non sono competenti e non conoscono il territorio, assegnare a noi associazioni gli spazi e lasciarceli gestire. La politica dovrebbe defilarsi e fare degli investimenti concreti, tipo l’università. La politica non è in grado di intervenire concretamente in quartieri difficili, le realtà che ci sono oggi, esistono solo grazie alla bravura delle persone che vivono il territorio e spendono il loro tempo per organizzare iniziative. Eppure, la politica spesso invece di agevolare le associazioni, le ostacola. Agevolare vuol dire concederci spazi».

Ora c’è una nuova amministrazione alla guida della città, come dovrebbe muoversi per far sì che Scampia nell’immaginario collettivo non sia sempre lo specchio di Gomorra?
«Sicuramente deve valorizzare anche a livello mediatico quello che facciamo. Oggi se digitiamo la parola Scampia su Google ci rendiamo conto che è associata solo a fatti negativi: Frosinone come Scampia, Monza come Scampia. Cioè ogni volta che c’è una piazza di spaccio, quella parte d’Italia diventa come Scampia. Oggi non è più così. La politica dovrebbe preoccuparsi di come portare a termine progetti già avviati. Penso per esempio al parco delle colline metropolitane di Napoli, Chiaiano l’ultima selva della nostra città e nessuno fa niente per valorizzare questi luoghi e attirare imprenditori. Noi abbiamo già chiaro quali cose si devono fare, le dovrebbero far partire».

Però una pioggia di denaro non risolverebbe il problema, no?
«Assolutamente. Io sono contro questi aiuti a pioggerellina. Non credo che sia utile a nessuno stanziare migliaia di euro per realizzare un progetto a breve termine, dopo non rimane nulla. Bisogna creare le condizioni e le infrastrutture affinché queste realtà possano sopravvivere. Negli anni, invece, è stato sempre fatto il contrario: l’associazione partecipa a un bando, magari che non viene dal territorio, quindi magari si finanzia uno skatepark per un quartiere dove non serve perché nessuno fa questo sport. Invece, la richiesta di sostegno deve arrivare dal basso, da chi conosce il territorio e sa di cosa c’è bisogno».

Cosa chiede al sindaco di Napoli Gaetano Manfredi?
«La “Scugnizzeria” è lo spazio che gestiamo e che accoglie tantissimi ragazzi, ma sono così tanti che è difficile gestirli. Da noi vengono ragazzi difficili, chi è in stato di messa alla prova o viene da una realtà familiare complicata, ma sono ragazzi che con noi riescono a salvarsi. Sarebbe per esempio molto utile se il Comune ci mandasse assistenti sociali e psicologi. Anche solo tre figure qui sul territorio farebbero la differenza».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.