Il patto educativo lanciato dall'arcivescovo
Giovani a rischio, ecco perché bisogna investire nell’educazione
Nonostante gli slogan di turno, i corpi, le anime, le istanze, i sogni e bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza semplicemente non contano. Come associazione Chi rom e…chi no mettiamo in campo da 20 anni processi pedagogici ed educativi a Scampia e su scala nazionale, rivolti a famiglie e minori anche della comunità rom, all’interno del centro culturale e gastronomico Chikù. Attraverso una relazione profonda e di fiducia instaurata con un’azione educativa di prossimità e di comunità, in rete con le numerose realtà territoriali, leggiamo nelle complesse maglie del sistema sociale il senso di una profonda ingiustizia che attanaglia una ampia fascia di popolazione.
Lo dice bene don Mimmo Battaglia: è una questione sistemica quella del disagio sociale e in particolare quello relativo all’infanzia, agli adolescenti e ai giovani, bersagliati da una narrazione che punisce e assolve con superficialità, all’ombra di una politica inadeguata e di una società indifferente e classista. È necessario raccontare che esistono luoghi che non perdonano: essere nato in periferia o in certe zone del centro, in assenza di impalcature educative e sociali solide, fa la differenza per la vita. I fenomeni di ingiustizia sociale si ripetono inesorabili nel tempo, alcune scuole parlano di dispersione e abbandono scolastico usando cognomi storici noti ai servizi sociali per oltre un ventennio.
Se in una famiglia si è finiti in carcere non per una scelta consapevole ma come conseguenza di una serie di fattori – ignoranza, analfabetismo, povertà educativa e materiale, assenza di opportunità – la strada della devianza è quella più plausibile anche per figli e nipoti. È necessaria una visione politica dell’educazione che sia in grado di interrompere la genealogia dell’esclusione e della predeterminazione deviante del futuro. Un’educazione partecipata e accessibile in grado di fornire ai giovani gli strumenti per leggere il mondo e poter quindi scegliere, richiede politiche trasversali e osmotiche capaci di dialogare tra loro e orientarsi nella dimensione organica del cambiamento, coniugando la sfera educativa, sociale, familiare, culturale, ambientale, abitativa e di sviluppo inclusivo dei quartieri delle periferie come del centro.
La politica deve garantire alle giovani generazioni ambienti di vita dignitosi (rioni popolari fatiscenti e campi rom non lo sono); scuole aperte con offerte culturali di qualità e palestre e cortili fruibili; famiglie competenti (e questo passa per lavoro, reddito e istruzione di qualità); teatri e spazi culturali vivi; quartieri, piazze, strade sicuri e abitabili anche dai più piccoli/e e fragili. È necessario ridisegnare un modello di architettura della città che contempli la presenza di bambine, bambini e adolescenti dei loro sogni e bisogni, un sistema capace di negoziare spazi, tempi e occasioni di dialogo e di azione tra i diversi attori della comunità. Abbiamo bisogno di una politica che non tema di abbassarsi all’altezza dei piccoli/e e che sappia confrontarsi con chi nel campo dell’educazione lavora con competenza e passione.
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