L’arcivescovo passa dalle parole ai fatti
Giovani a rischio, don Battaglia scende in campo: “Più scuola e opportunità”, ora tocca alla politica
Politiche sociali efficaci, più attenzione alla sfera educativa e maggiore partecipazione dei giovani alla vita della città. È questa la strada tracciata da don Mimmo Battaglia per realizzare il patto educativo attraverso il quale strappare i ragazzi alla criminalità. In una Napoli dilaniata dalla ferocia della camorra e dall’indifferenza della politica, dunque, l’ultima speranza arriva dalla Chiesa. E arriva a pochi giorni dal raid con tanto di mitra in una pizzeria di Casavatore, dagli omicidi di ragazzi poco più che maggiorenni e dall’esplosione di una serie di bombe ad Afragola. E, soprattutto, a poche ore dalla lettera con cui l’arcivescovo ha sottolineato la necessità di una strategia condivisa contro il crimine.
Dalle parole ai fatti, dunque. E così, ieri, don Battaglia ha messo intorno a un tavolo educatori, sacerdoti, attivisti per la legalità ed esponenti del terzo settore per concordare le iniziative da mettere in campo. «Ora ancor di più avverto l’urgenza di concretizzare al più presto il patto educativo per la città, e per questo ho invitato i diversi esponenti della società civile, del terzo settore e del mondo ecclesiale con cui sto lavorando a questa iniziativa che vuole rimettere al centro, partendo dai più piccoli e dalle loro famiglie, la questione educativa, puntando sulla prevenzione e scommettendo sulle nuove generazioni – aveva annunciato monsignor Battaglia – I ragazzi e i giovani di Napoli non possono essere destinatari passivi di un cambiamento ma devono divenirne i protagonisti». È attraverso questo progetto che unisce Chiesa, terzo settore e istituzioni che, dalle parti di Largo Donnaregina, si punta ad arginare la scia di sangue che da tempo percorre la città.
Tra i sostenitori del patto c’è anche Maria Luisa Iavarone, docente universitaria e mamma di Arturo, il ragazzo accoltellato in via Foria nel 2017. «Unire mondo laico e cattolico è fondamentale affinché questo patto non resti solo un invito alla responsabilità o, peggio ancora, lettera morta – spiega Iavarone – Dev’essere, invece, un lavoro di analisi delle singole “tessere del mosaico” affinché si trovino gli incastri migliori. A Napoli non si riesce mai a fare sistema tra le diverse realtà associative, si preferisce esaltare le iniziative individuali anziché il lavoro di squadra, ma nessuno vince da solo». Singolarmente le associazioni possono fare ben poco. Anche per questo motivo è ora che la politica affronti non solo la piaga della criminalità, ma dia risposte strutturali ed efficaci a problemi come la dispersione scolastica, la disoccupazione e la mancanza di un welfare degno di questo nome nelle periferie e nell’hinterland di Napoli. Le idee ci sono. «Bisogna intervenire sull’educazione primaria e sulla presa in carico dei ragazzi prima che questi diventino preda della camorra – suggerisce Iavarone – Non possiamo aspettare che vadano in carcere per occuparcene. Bisogna pretendere misure di accompagnamento alle famiglie di questi bambini attraverso il controllo. Un esempio? Agganciare il reddito di cittadinanza alla responsabilità educativa: se i bambini non vanno a scuola, le famiglie perdono il sussidio. Mi batterò per inserire questa misura nel patto».
Chi si occupa già di ragazzi a rischio è il maestro di strada Cesare Moreno. «Il patto è importante perché vede la presenza del vescovo e richiama tutti alla responsabilità – spiega Moreno – La responsabilità educativa, infatti, non è né della scuola né delle associazioni né delle singole famiglie, bensì di un’intera comunità». Don Battaglia, infatti, ha coinvolto tutti e tutti sono chiamati a rispondere. «Questi ragazzi – afferma Moreno – non sono figli di un quartiere o di una famiglia, sono figli di Napoli, di tutti noi. È un patto intergenerazionale in cui gli adulti si decidono a essere più responsabili nei confronti delle nuove generazioni – conclude – Nessuno può sottrarsi a questo richiamo morale».
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