L’allarme
Napoli sempre più distante dall’Italia: per Bankitalia 1 bambino su 4 ha i genitori disoccupati

Pochi numeri basterebbero a fotografare la mazzata che il Covid ha inferto alla Campania nel 2020: l’attività economica ridotta dell’8% rispetto al 2019, l’industria che ha perso 11 punti di valore aggiunto tornando così ai livelli del 2014, il tasso di disoccupazione schizzato addirittura al 40,9%. Ma dal dossier della Banca d’Italia sulla situazione economica della regione, presentato ufficialmente ieri in conferenza stampa, emerge un dato ancora più allarmante che riguarda le sperequazioni sociali. In Campania, infatti, il 27% dei bambini vive in una famiglia dove non c’è nessuno che lavori.
Proprio così, un minore su quattro ha padre e madre disoccupati. Il che equivale, nella maggior parte dei casi, a non disporre del minimo indispensabile per studiare, viaggiare ed eventualmente curarsi. È accettabile nel terzo millennio, dopo secoli di conquiste sociali e di progresso economico? Decisamente no, soprattutto se si pensa che, prima che il Covid scatenasse i suoi effetti sul mercato del lavoro, i bambini in quelle drammatiche condizioni non superavano il 21,7% del totale. «Quelli diffusi da Bankitalia sono dati preoccupanti – commenta il deputato Paolo Siani, membro della Commissione parlamentare per l’infanzia – davanti ai quali bisogna prendere atto della necessità di politiche attive del lavoro e di contrasto della povertà minorile, più che di sussidi. L’assegno unico, destinato a partire nei prossimi giorni, rappresenta altro ossigeno per le famiglie con figli, ma bisogna puntare su asili nido, parità salariale e su misure strutturali che consentano a tutti, in particolare alle donne, di lavorare e guadagnarsi da vivere».
Ma il Covid non si è limitato a peggiorare la qualità dei bambini campani. Ha anche economicamente e socialmente allontanato le famiglie residenti nella regione da quelle che abitano in altre località italiane. A dimostrarlo sono i dati relativi alla distribuzione dei redditi da lavoro che rappresentano l’“ossigeno” per i nuclei attivi, cioè per quelle famiglie dove la persona di riferimento è in età da lavoro e nelle quali vivono i due terzi dei residenti e quasi la totalità dei bambini campani. Già, perché agli esperti di Bankitalia non è sfuggita l’impennata dell’indice di Gini, cioè di quel valore che misura le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Ecco, nella Campania del 2020, quel coefficiente ha superato i livelli registrati nel 2014 a seguito della crisi del debito sovrano. Ciò significa che la pandemia ha determinato un forte aumento delle sperequazioni, per quanto riguarda la distribuzione dei redditi da lavoro, tra Campania e resto d’Italia.
«L’incremento della disuguaglianza è da imputarsi a quello degli individui in famiglie prive di reddito da lavoro che era già più del doppio della media nazionale e di poco superiore a quella meridionale – spiegano da Bankitalia – E la quota di individui in nuclei senza reddito da lavoro è cresciuta più intensamente tra le famiglie con persona di riferimento giovane e con titolo di studio basso, dove risultava già nettamente più elevata rispetto alla media nazionale». In questo contesto, un altro dato significativo riguarda gli individui in famiglie maggiormente esposte al rischio occupazionale. Nel 2020, infatti, il numero di persone che vivono in nuclei con reddito da lavoro dipendente a tempo determinato o da trattamento di integrazione salariale è cresciuto dell’8% in Campania, mentre l’aumento nel resto d’Italia è stato inferiore di circa un punto.
Quindi non deve meravigliare il fatto che, nel 2020, 236mila campani abbiano beneficiato del reddito e della pensione di cittadinanza: il 27,4% in più rispetto al 2019, contro il 20% registrato in Italia. Il reddito di emergenza, invece, ha aiutato 56mila famiglie. Complessivamente, a dicembre 2020 avrebbe beneficiato delle misure di sostegno messe in campo dal Governo il 14,3% delle famiglie campane: una quota superiore a quella registrata nel Mezzogiorno, con l’11%, e alla media nazionale, pari al 6,1%. «Non è più possibile continuare ad ignorare i molteplici aspetti della crisi meridionale – sottolinea Rosario Patalano, docente di Storia del pensiero economico della Federico II – Occorre una nuova fase di solidarietà nazionale con forme appropriate di intervento pubblico. Fu la strada che seguì la classe dirigente del dopoguerra strappando alla miseria il Mezzogiorno. Ora questa miseria è tornata in nuove forme e occorre percorrere la stessa strada. Un Sud povero, preda del crimine organizzato e della marginalità sociale, è una pesante zavorra che rallenterà anche il Nord»
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