L’allarme di Openpolis
Covid e disoccupazione, in Campania uno su due a rischio povertà

Il 50% dei cittadini campani rischia di finire nell’elenco dei poveri e di coloro che, di fatto, si trovano ai margini della società. Sono numeri impietosi che sbattono in faccia all’intera comunità la condizione che metà degli abitanti della Campania si trova a vivere. A rivelarlo è un’indagine di Openpolis, datata 2019, quando la pandemia poteva rappresentare tutt’al più lo scenario di un fi lm distopico e non aveva ancora messo in ginocchio migliaia di famiglie.
La Regione amministrata da Vincenzo De Luca, insieme con la Sicilia, è quella con il rischio di povertà più alto d’Europa: secondo una tabella dell’Eurostat, le persone che hanno un reddito disponibile inferiore al 50% di quello medio nazionale sono, in Sicilia, il 41,4% della popolazione e, in Campania, il 41,2. Se si guarda a coloro che sono a rischio di esclusione sociale (chi vive in famiglie a bassa intensità di lavoro o ha problemi di deprivazione materiale) per la Sicilia la percentuale sale al 48,7% e per la Campania al 49,7. Si tratta di un triste primato: in Europa la media per il rischio di povertà ed esclusione sociale è del 21,4%. Ancora una volta le differenze a livello territoriale sono molto evidenti: nel 2019 erano circa 1,45 milioni le persone residenti nel Mezzogiorno in stato di povertà assoluta. Poco più di un milione quelle che vivono nelle regioni del Nord-Ovest. Seguono Nord-Est, centro e isole.
Anche se consideriamo i nuclei familiari è il Mezzogiorno ad avere il primato delle famiglie in povertà assoluta, circa 470mila. «Un indice di povertà così alto al Sud è ovviamente dovuto alla mancanza di opportunità lavorative – commenta Giovanni Sgambati, segretario generale della Uil Campania – Gran parte della popolazione, soprattutto nella città metropolitana di Napoli, sconta il processo di disoccupazione iniziato nel 2009. Quindi a fasce di povertà tradizionalmente esistenti si sono aggiunte quelle persone che, nel corso degli anni, non hanno trovato una nuova collocazione lavorativa: ex lavoratori e lavoratrici che di fatto diventano poveri». L’arrivo della pandemia, poi, ha inciso drammaticamente sull’aumento delle difficoltà economiche e i numeri registrati dalla Caritas di Napoli lo confermano: la percentuale di persone che chiedevano aiuto per la prima volta nel 2019 era pari al 35%, nel 2020 è schizzata al 41%. Segno tangibile di quante famiglie si siano trovate in una condizione disperata. E il futuro non lascia presagire alcunché di buono se si pensa, come sottolineato da Confesercenti, che nel 2020 sono andati in fumo circa 800 milioni nel turismo, settore nel quale trovava lavoro un milione e mezzo di persone.
«C’è da dire che oltre alla mancanza di lavoro, persiste una scarsa capacità di spendere i soldi dedicati al sostegno dei più bisognosi – sottolinea Sgambati – È successo nel giugno scorso, quando per far fronte alla crisi Covid, la Regione ha assegnato 200 milioni di euro agli agglomerati di Comuni che sono stati definiti “ambiti”. Avrebbero dovuto migliorare le politiche di welfare, ma il processo è talmente farraginoso che anche di fronte a risorse assegnate non si riesce a fare nulla di concreto». Colpa della burocrazia e della scarsa capacità di spesa delle amministrazioni che non riescono a progettare e ultimare gli interventi messi in campo. Non solo. «Manca anche la capacità di monitorare il percorso delle risorse – spiega Sgambati – Una volta assegnati, non c’è nessuno che faccia un consuntivo e verifichi come quei soldi siano stati spesi. Contemporaneamente è necessario creare opportunità di lavoro».
Da dove bisogna partire, dunque? «Indubbiamente dai giovani e dalle donne che sono state le categorie più colpite dalla pandemia – suggerisce il numero uno della Uil regionale – Inoltre il mercato del lavoro va rivoluzionato: bisogna offrire a chi perde il lavoro una formazione adeguata per potersi reinserire nel mercato del lavoro, cioè un apprendimento continuo. Di pari passo con la formazione vanno fatti con urgenza investimenti in infrastrutture e digitale. Oltre a una riforma per svecchiare la pubblica amministrazione: solo così si batte la povertà»
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