«Grazie per questa porta aperta, in giro è tutto chiuso», sorride Guido, barese di 50 anni, ma da alcuni anni senza dimora a Roma, mentre entra nella mensa della Comunità di Sant’Egidio a Via Dandolo, nel cuore di Trastevere, aperta in questi giorni con le dovute precauzioni.  Quella dei senza dimora è un’emergenza nell’emergenza: in Italia oltre 50mila persone, secondo l’ultimo censimento dell’Istat, che di fronte al decreto #IoRestoaCasa si ritrovano disorientate e impotenti. «La precarietà delle loro condizioni di vita è aggravata in questo periodo dalla minore circolazione delle persone, un ulteriore isolamento che rende più difficile ricevere aiuto e protezione», ha commentato Marco Impagliazzo.

Alcuni centri hanno chiuso, alcune mense hanno iniziato a fornire pasti confezionati all’aperto e alcuni dormitori hanno dovuto aumentare lo spazio che separa i letti, diminuendo quindi la capacità ricettiva. Insomma, per chi non ha un tetto sopra la testa, la vita si è fatta più dura, con l’effetto che persone prive di sostegno e assistenza sanitaria sono ancora più vulnerabili. «La situazione è peggiorata: città così vuote, per chi non ha un luogo dove andare a dormire e dove andare a vivere, spaventano ancora di più», spiega Lucia Lucchini, direttrice della mensa per i poveri di Sant’Egidio a Trastevere, osservando che occorre dare da mangiare, ma anche rasserenare e spiegare le misure igieniche indispensabili per difendersi dal contagio. E nel momento in cui non ci si può dare la mano e bisogna limitare al minimo i contatti, parlando a distanza e per breve tempo, c’è un modo di manifestare l’amicizia con gesti concreti e parole affettuose. «Anche indossando la mascherina, il sorriso si vede e si comunica con lo sguardo», dice Lucia.

Infatti, si tratta di combattere la fame e l’isolamento in città completamente deserte, dove diversi servizi per i poveri sono stati chiusi. Ma i poveri ci sono e hanno più fame rispetto al passato, dal momento che persone, abituate normalmente a vivere di elemosina e aiuti da ristoranti, bar o privati, ora non ricevono più niente. Per questo, nei giorni dell’epidemia da coronavirus, le mense di Sant’Egidio continuano a restare aperte, dal Nord al Sud dell’Italia, accogliendo centinaia di poveri. Lo si fa con orari ampliati e file ordinate, per consentire ingressi scaglionati ed evitare assembramenti all’esterno delle strutture, e meno persone nelle sale, dove si mangia al massimo in due per tavolo, per rispettare la distanza di sicurezza.

Orari prolungati anche nei centri che offrono accoglienza notturna: a Roma la Villetta della Misericordia, presso il Policlinico Gemelli, la chiesa di San Callisto e Palazzo Migliori, la casa a due passi dal colonnato di San Pietro donata da papa Francesco ai poveri – solo per fare qualche esempio – ospitano oltre cento senza dimora, osservando tutti i protocolli necessari per contenere il virus. Le persone possono restare all’interno di queste strutture anche la mattina e il pomeriggio, con una pausa di alcune ore per garantire la pulizia e l’igiene. Quindi si può continuare ad aiutare, anzi si deve, per evitare che il contagio colpisca i più fragili, come già è accaduto negli istituti per anziani. Il soccorso ai senza dimora non si può fermare soprattutto dove c’è più bisogno, ossia nelle stazioni e nei luoghi dove vivono.

È qui che i volontari, dotati di tutti gli strumenti di protezione, li raggiungono durante varie ore del giorno e non più solo la sera, per distribuire cibo, confezionato in porzioni rigorosamente monouso, ma anche mascherine e gel igienizzanti per le mani. Sant’Egidio ha intensificato queste distribuzioni in tutte le città italiane, da Padova a Napoli, da Genova a Messina. Un aiuto possibile anche grazie a una rete di sostegno in crescita, con tanti volontari che si uniscono a noi e alcune famiglie che offrono il loro aiuto cucinando da casa: una solidarietà che vince la paura e che contribuisce a costruire il collante sociale che farà ripartire le nostre società, una volta finita l’epidemia.

E le istituzioni? Lo scorso 12 marzo, nella conferenza stampa quotidiana dalla sede della Protezione Civile, Angelo Borrelli ha lanciato un appello alle Regioni e ai Comuni per «organizzare delle strutture di assistenza per i senza tetto sul territorio». Un appello a cui alcune amministrazioni hanno cominciato a rispondere. Ma molto, troppo, a macchia di leopardo con provvedimenti che dipendono dalla buona o cattiva volontà di chi le guida.

Ma – come è stato prontamente segnalato da diverse associazioni – ciò che più preoccupa sono le multe comminate a non pochi senza dimora, fermati e sanzionati per violazione del decreto governativo. Un assurdo umano e sociale al quale occorre opporsi con la forza dell’umanità e della ragione. La povertà non è un reato: chi non ha una casa non può essere punito per non essere rimasto a casa durante l’epidemia. Al contrario deve essere accompagnato sotto un tetto che lo può proteggere e salvare.