L’Istat rileva che oggi (i dati sono del 2020), in Italia, sono in condizione di povertà assoluta poco più di due milioni di famiglie (7,7% dal 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% dal 7,7%). Un numero enorme di poveri. Tre giorni fa papa Francesco ha pubblicato il suo messaggio per la Giornata mondiale dei poveri (14 novembre), che ha un titolo emblematico come mai: “I poveri li avete sempre con voi” (dal Vangelo di Marco (14,7). È un messaggio diretto all’intera Chiesa cattolica. Ma come non vedervi anche una parola particolarmente adatta all’Italia oggi? Dovremmo anzi aggiungere che durante la pandemia il numero dei poveri è cresciuto ancora.

Tutti abbiamo visto con i nostri occhi le lunghe file di persone per prendere pacchi di viveri. Ed è cresciuta – grazie a Dio – anche la generosità di tanti nel donare aiuto. È utile, molto utile, leggere cosa il Papa ci dice in questo suo messaggio. Coglie un aspetto rilevante per comprendere la piaga della povertà di oggi, che la pandemia ha aggravato. Francesco entra direttamente nel cuore del problema circa l’origine della povertà. E avverte che quando il mercato ignora o seleziona i principi etici, inesorabilmente crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. Si assiste così – continua papa Francesco – alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione che la pandemia ha aggravate. Per uscirne, occorre vincere la sfida di «un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni». E poi mette a tema la stessa democrazia e a chiare lettere scrive: la povertà «non è frutto del destino ma conseguenza dell’egoismo. Ecco perché è decisivo avviare processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero!».

Il Papa tocca qui un nodo che riguarda Italia come altrove. La pandemia – dovremmo continuare a ripetercelo! – ha mostrato i limiti di questo modello di sviluppo, di questa globalizzazione del mercato che non è riuscita a globalizzare né la solidarietà né la democrazia. L’attuale modello non è l’unico possibile, semmai è un modello che genera benessere per pochi, iniquità per tutti gli altri e disparità continue. Tutti conveniamo che le disuguaglianze sono giunte a un punto di contraddizione insostenibile. Questo modello di sviluppo non è ineluttabile, e la spinta può anzi deve, essere invertita. Non possiamo dimenticare la lezione che abbiamo appreso in questi lunghi e terribili mesi di pandemia. Deve farci riflettere quanto sta accadendo in questi giorni in Italia. Viviamo un clima di euforia per essere rientrati in “zona bianca”: giovani e meno giovani si affollano come se la situazione fosse normale e dovesse continuare ad esserlo.

Tanto siamo stati responsabili prima, quanto rischiamo comportamenti sconsiderati ora. Deve guidarci la consapevolezza che siamo un corpo unico, una società di persone connesse tra loro; collegati tra di noi e il comportamento di uno si riflette sugli altri. Ogni gesto di ciascuno di noi non è mai individuale. È sempre sociale. Nel bene come anche nel male. Dobbiamo ribaltare quel “monoteismo dell’io” che ha portato tutti a porre come primo santo del calendario laico, san Narciso. È indispensabile mettere al primo il “Noi”, il bene comune di tutti. Così sconfiggeremo l’atrofia di una società che si svuota di quel senso civico comune che la rende salda e resistente al male.
Il messaggio di papa Francesco – e della Chiesa – va in questa direzione: con la destinazione universale dei beni, con l’idea di bene comune e beni comuni e della Bioetica globale, perché la vita di tutti, sempre, va tutelata, protetta, fatta sviluppare e progredire.

Questo Papa, ci ha fatto fare, come Chiesa, un passo avanti: indichiamo una strada alla società, alla politica, perché siamo – dobbiamo essere – “Fratelli Tutti”. È il dono di quella “visione globale” indispensabile per raccordare gli sforzi di tutti. La povertà va ridotta, anzi sconfitta, con misure drastiche e rapide ispirate all’equità e alla giustizia sociale. Nessuno può tirarsi indietro, c’è tanto lavoro per ognuno di noi per combattere la povertà partendo dalla amicizia con i poveri. Sono partito dai drammatici dati Istat. Certamente debbono farci riflettere. Ma c’è una dimensione che va oltre i numeri e i calcoli. È la centralità dell’amicizia con i poveri sia per la Chiesa che per la Società.

Papa Francesco conclude il suo messaggio con alcune parole tratte dalla penna di uno straordinario parroco italiano del secolo scorso, don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poveri, chi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano» (“Adesso” n. 7 – 15 aprile 1949).