Il ministro degli Esteri
Di Maio fa mea culpa sullo show del balcone: “Un uomo delle istituzioni non lo fa”
È tutto una svolta questo Luigi Di Maio. Nuovo di zecca, ormai uomo delle istituzioni, più governo che di lotta – anzi ormai solo di governo – moderatore e non più sobillatore di impeachment a a vanvera. Solo poche ore dopo l’intervista che ha fatto ammattire una fetta abbondante e sempre più scissa del Movimento 5 Stelle, l’ex leader politico dei grillini ammette di non essere propriamente fiero di quell’esultanza dal balcone di Palazzo Chigi, diventata tra le immagini più iconiche del primo governo Conte, quello Lega-5Stelle.
Era il settembre del 2018. Era stato appena approvata dal Consiglio dei ministri la nota di aggiornamento del DEF, il piano attraverso il quale il governo indica i suoi piani economici triennali, e quindi lo stanziamento di risorse tra le quali rientravano anche quelle per finanziare il reddito di cittadinanza. Di Maio all’epoca era viceministro e ministro dello Sviluppo Economico. Dopo quattro ore di riunione a Palazzo Chigi l’allegra pattuglia uscì sul balcone esultando.
In un’intervista il giornalista de Il Fatto Quotidiano Andrea Scanzi ha chiesto al ministro di indicare una cosa in particolare della quale non andasse fiero, politicamente parlando. E Di Maio, illuminato sulla via di Palazzo Chigi, ha osservato: “Sicuramente, quando ho fatto quella cosa del balcone… Non ne vado fiero, ti dico la verità. Da uomo delle istituzioni, dopo tanti anni, ti dico, stare sul balcone e dire quella cosa… al di là che era una battaglia importante, era il reddito di cittadinanza: era una cosa che aspettavamo da anni e l’avevamo ottenuta. Secondo me, un uomo delle istituzioni non lo fa”. Fu proprio in quell’occasione che Di Maio parlò di “abolizione della povertà”.
Una misura che tra l’altro si è rivelata funzionale da un punto di vista assistenziale ma fallimentare da un punto di vista lavorativo: al 30 settembre 2020 su 1.369.779 percettori del reddito tenuti a firmare il patto per il lavoro, 352.068 avevano trovato un posto, il 27%. A fine ottobre erano diventati 192.851, perché l’85% aveva firmato contratti a scadenza. A questo si aggiunge il pasticcio di oltre 2.600 navigator, che dovevano aiutare lavoro, e i cui contratti scadono il 30 aprile.
Ma adesso Di Maio è cambiato: parla di un Movimento moderato e liberale, una forza del centro atlantista ed europeista, come ha detto ieri a Repubblica. Dichiarazioni che hanno ulteriormente diviso una galassia messa in crisi dalla caduta dell’esecutivo Conte, le consultazioni, i voti su Rousseau, l’intervento di Grillo, il ministero della Transizione Ecologica, l’addio di Alessandro Di Battista, la formazione del governo Draghi, il “no” alla fiducia di numerosi parlamentari, la nascita di un nuovo gruppo, le tensioni ancora lontane da una soluzione.
Quelle foto del 2018 sono ormai emblematiche: accanto a Di Maio anche il ministro ai Trasporti Danilo Toninelli, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, la ministra per il Sud Barbara Lezzi, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Personalità invece oggi molto lontane. Solo Di Maio è ancora ministro. E comunque ha ammesso che di errori ne ha fatti tanti in questi anni, mica solo quello del balcone dal quale urlava: “ce l’abbiamo fatta”.
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