Si dividono anche gli espulsi. Segno che anche tra quei 21 senatori e 20 deputati messi alla porta del Movimento 5 Stelle dopo aver votato no alla fiducia al governo Draghi si riproduce il vizio originario del Movimento: non avere un’anima e un collante che non fosse la piattaforma Rousseau. Le dinamiche parlamentari sono in questo momento assai più vivaci di quelle di governo. La vivacità, poi, non sempre è sinonimo di profondità e consistenza.

Diciamo però che rispetto al “sipario” momentaneamente calato su palazzo Chigi da un approccio e una comunicazione ridotta al minimo, il Parlamento in questo momento è il palcoscenico dove sta andando in scena la dissoluzione e la ricomposizione del quadro politico decisa da quell’evento dirompente che è la pandemia. Processo che avrà un primo test – assolutamente di passaggio – a maggio con le elezioni amministrative e si dovrebbe poi concludere nell’arco di un anno o due. Con il sigillo finale di una nuova legge elettorale. Una volta chiarito il contesto, ciò che avviene nel Movimento ha a che fare con una rifondazione e una dissoluzione. In una parola con la fine di quell’esperimento populista e di democrazia diretta per come lo abbiano conosciuto dal 2013 a oggi. Vediamo.

Alla Camera, ieri convocata per il Mille proroghe e dunque al gran completo si nota un senso quasi di “leggerezza”, della serie “ci siamo tolti un dente che andava tolto da tempo”, tra quel che rimane del Movimento. Che è sempre e comunque la maggioranza relativa (168 deputati e 71 senatori) ma assai dimagrita rispetto al 2018 quando entrarono 323 eletti. «Dispiace, soprattutto per qualcuno di loro, ma alla fine ci siamo liberati di una zavorra, opinioni che per quanto legittime ostacolavano da troppo l’azione del governo». L’espulsione, è anche l’occasione per fare finalmente i conti con Rousseau e Davide Casaleggio, l’altro grande problema da tempo individuato e rispetto al quale è diffuso il desiderio di non dover più dipendere dalla “piattaforma”.

La forza per fare tutto questo, o almeno concludere questo percorso, dovrebbe arrivare da due fatti tra loro intrecciati: il coinvolgimento ufficiale di Giuseppe Conte nella leadership del Movimento che ha cambiato assetto proprio in queste settimane per cui non esiste più il capo politico ma una “segreteria a 5”. «Conte potrebbe essere il Presidente» si augura, ad esempio Rocco Casalino e anche altre figure di primo piano nel Movimento. Proprio in queste ore è nata una pagina Facebook dei “Comitati Alleanza per lo sviluppo sostenibile con Giuseppe Conte”. Sui social girano alcune simulazioni del branding con la faccia di Conte il giorno in cui ha salutato nel cortile di palazzo Chigi mano nella mano della fidanzata Olivia e la frase “la chiusura di un capitolo non ci impedisce di riempire fino in fondo le pagine della storia che vogliamo scrivere”.

Di lato i simboli dei partiti che dovrebbero far parte dell’Alleanza, Leu, Pd e M5s. Ultimo simbolo è il tondo grigio dei “Comitati di alleanza/Con/Te”. La grafica può sicuramente migliorare. E comunque questo è il progetto politico che a quanto pare la segreteria del Pd appoggia visto che ne usano il simbolo. Gli espulsi ex 5 Stelle non sanno bene cosa fare né dove andare. Tra oggi e domani potrebbe nascere una nuova componete del gruppo Misto della Camera. Servono almeno dieci firme, l’obiettivo è una ventina di iscritti. Una formazione “né di destra né di sinistra, comunque contro il governo Draghi” Significa che da domani Fratelli d’Italia non saranno più soli all’opposizione. E magari a Meloni toccherà pure cedere la presidenza di una delle Commissioni che toccano alle opposizioni.

Il nome dovrebbe essere “Alternativa” e sicuramente e nella leadership non sembra trovare posto Alessandro Di Battista da ieri ufficialmente non più iscritto al Movimento 5 Stelle. La partita cambia al Senato. Il nuovo gruppo, che pure potrebbe avere a disposizione il simbolo di Italia dei valori, stenta a nascere pur avendo ben 21 senatori espulsi (ne bastano dieci per fare un gruppo). Il punto è che Barbara Lezzi e Nicola Morra non ci stanno ad essere cacciati. Si sentono “100% 5 Stelle” e hanno già allestito il ricorso in sede civile tramite l’avvocato Bollorè che sarà comunque costretto a fare i conti con l’autodichia parlamentare. Questa indecisione – i senatori sono dentro o fuori i 5 Stelle – pesa anche sul completamento della squadra di governo. La partita dei sottosegretari è al secondo rinvio e potrebbe essere slittare a mercoledì.

Le carte sono sulla scrivania del sottosegretario Roberto Garofoli che ha chiesto e ottenuto dai parti la lista dei nominativi. Ma ora Lega e Forza Italia chiedono che i 5 Stelle abbiano meno posti del previsto perché hanno perso per strada 41 eletti in un colpo solo. Dunque undici sottosegretari sarebbero troppi rispetto al loro valore parlamentare. Il Cencelli dei sottosegretari prevede 40 caselle: una decina restano di competenza del premier Draghi; le altre devono essere suddivise tra i partiti di maggioranza. Si diceva 11 ai 5s (ma ora sarebbero scesi a 8 per via delle espulsioni e Di Maio non è affatto contento); 6/7 a testa al Pd, Forza Italia e Lega; 2/3 per Italia viva; uno a testa a Leu, Maie-Centrodemocratico. La ex ciambella di salvataggio, risultata bucata, del Conte ter.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.