Non era – a quanto pare – un capriccio, una nuvola passeggera, un malumore temporaneo: le donne del Partito Democratico stanno agitando il Partito Democratico. Una ferita partita venerdì sera, quando il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato la squadra di governo. Otto ministri su 23 donne, due di Forza Italia, una della Lega, una di Italia Viva, una del Movimento 5 Stelle, tre tecniche (le uniche con portafoglio). E nessuna del Pd. Una “ferita” l’hanno definita in tante. Ormai si parla di rivolta.

E quindi è partito l’hashtag #graziemaNOgrazie, a indicare il probabile rifiuto, una specie di scintilla rivoluzionaria, a ricoprire incarichi da sottosegretarie o viceministre, un rimedio che a quanto trapelato il segretario dem Nicola Zingaretti aveva pensato di adoperare per placare la rivolta. “E se tutte le donne di centrosinistra cui verrà chiesto di fare da sottosegretarie, o viceministre, dicessero: ‘No, grazie, come se avessi accettato’, e cominciassero a costruire qualcosa per uscire dall’angolo davvero?”, aveva scritto sui social la giornalista Annalisa Cuzzocrea. Una proposta che non è passata inosservata.

Dei problemi della leadership femminile nella politica ne aveva parlato in un’intervista a questo giornale la scrittrice Giulia Blasi. Il tema è scottante, e anima il Partito in queste ore. La portavoce della conferenza delle donne democratiche si riunisce oggi. La portavoce Cecilia D’Elia parla di “ferita”, l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini sposa la campagna: “Non può bastare qualche posto da sottosegretaria”; l’ex ministro Livia Turco definisce la mancanza di donne dem “frutto di una logica maschilista e correntizia”; Debora Serracchiani fa notare come si tratti della prima volta “in cui nella delegazione di governo del Pd non c’è una rappresentanza femminile”; l’ex ministra Roberta Pinotti parla di una “sconfitta per tutti”; “un’assenza che stride molto” per Rosy Bindi; un “problema di coerenza per la presidente della commissione femminicidio Valeria Valente, Lia Quartapelle parla di occasione mancata per dare un “esempio sulla parità”, caustica Giuditta Pini: “Per il women new deal c’è tempo compagne, oggi no, domani neanche, dopodomani sicuramente, lo metteremo in un odg”.

La sollevazione insomma è quasi unanime. Dal Nazareno si sforzano a far sapere che le scelte sui ministri dem – Dario Franceschini alla Cultura, Andra Orlando al Lavoro, Lorenzo Guerini alla Difesa – sono state di Palazzo Chigi e Quirinale. Zingaretti “si è speso moltissimo per le donne”, ha detto Valentina Cuppi, presidente del Partito dal febbraio 2020. Niente da fare: la crepa è partita. La protesta potrebbe esaudirsi nel rifiuto ai sottosegretariati – nel dibattito non manca chi fa notare che si tratti comunque di ruoli rilevanti.

La questione centrale della polemica è il ruolo di leadership delle donne nel partito, non quote rosa ma argomento di subalternità complicato dal correntismo esasperato, come ha scritto l’ex ministra Marianna Madia su Huffington Post. Tutto un paradosso per chi promuove e si erge a paladino di diritti e parità mentre il centrodestra porta nell’esecutivo tre donne e sempre nella destra, in Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni siede sullo scranno più alto ed è la politica più influente in Italia. Matteo Renzi, l’ex segretario e fuoriuscito dal partito, che ha fondato Italia Viva, nel governo rappresentato alle Pari Opportunità da Elena Bonetti, gira il coltello nella piaga del Pd che “non riesce a proferire una parola credibile sul tema femminile”.

Antonio Lamorte

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