Uno sciopero a macchia di leopardo, o meglio: a macchia sul camice. Quella di oggi sarà la prima di una serie di giornate di astensione dal lavoro del personale sanitario, medico e paramedico. Milioni di prestazioni cliniche – incluse quelle di massima urgenza – sono a rischio. Medici e infermieri protestano contro la Manovra che sottrae risorse preziose al comparto, riuscendo nella non facile operazione di scontentare tutti. Se per un verso l’Autonomia differenziata cambia i parametri dei livelli di assistenza, dall’altro le Regioni non stanno più riuscendo a garantire la qualità di assistenza precedente. Se da un lato ad andare in pensione sono pochi, e sempre più tardi, ad entrare nei ruoli ospedalieri sono sempre meno. Il tetto alle assunzioni rimane rigido, malgrado le gravi mancanze in corsia. I tagli sulla sanità continuano a spese dei pazienti e sulle spalle dei lavoratori in camice bianco. E le sigle sindacali si organizzano. O meglio, proverebbero a organizzarsi: perché il Governo può contare sulle divisioni tra le sigle sindacali come migliore arma a suo vantaggio.

Sciopero medici, a rischio servizi e interventi chirurgici

In effetti oggi scioperano solo alcuni. Per chi conosce le sigle: Aanao e Cimo, per i medici. E Nursing Up per gli infermieri. Che non è la sigla più rappresentativa della categoria, che invece si chiama Nursind, ma è quella che ha promosso la manifestazione di oggi. A rischio tutti i servizi, compresi gli esami di laboratorio, gli interventi chirurgici (circa 30mila quelli programmati che potrebbero essere rinviati), le visite specialistiche (180 mila) e gli esami radiografici (50mila). Il 18 dicembre si asterrà dal lavoro il resto dell’intersindacale: Aaroi (anestesisti rianimatori) Fvm (veterinari e controlli alimentari) e la Fassid (laboratori clinici, psicologi, radiologi, farmacisti ospedalieri, igiene e prevenzione).

Sciopero medici, la richiesta d’assunzioni

Le motivazioni vengono dettagliate dalle sigle in modo diverso. Per tutti, priorità all’assunzione di personale. In Italia mancano ben 170 mila infermieri e il Governo non sembra avere alcun piano di assunzioni. Detassazione dello stipendio, non solo del lavoro straordinario. Risorse sufficienti per i rinnovi contrattuali, con specifica finalizzazione della parte destinata alle indennità specifiche infermieristiche e delle altre professioni sanitarie. Roberta Di Turi, coordinatrice nazionale Fassid, elenca al Riformista le ragioni per cui il sindacato dei servizi medici – che rappresenta, ad esempio, la diagnostica, la cui mancanza è in grado di bloccare poi tutto il seguito clinico – ha deciso di astenersi dal lavoro il 18: «Mancano le risorse a tutto tondo. C’è un problema Manovra. Siamo impossibilitati a rimpinguare gli organici che sono ormai ridotti al minimo. Non vengono date certezze per stabilizzare i nostri tanti, troppi precari. E stipendi molto al di sotto della media europea, con l’aggravante che sempre più colleghi – tra quelli più in gamba e meglio formati – sono tentati dall’intraprendere la via del lavoro fuori dall’Italia».

In questo contesto, però, alcune associazioni di medici hanno deciso di scioperare prima, altre dopo. «Ci sono quelli che avevano aderito alla scorsa giornata di sciopero nazionale e che hanno posticipato al 18 la prossima astensione, anche per colpire con impatto certo il sistema sanitario, che altrimenti non ci ascolta », aggiunge Di Turi. Dalla politica, nessun riscontro. Solo Italia Viva fa sentire la sua voce: «Solidarietà ai medici, agli infermieri, alle ostetriche e a tutti gli operatori sanitari che hanno indetto un sacrosanto sciopero per protestare contro il Governo e i mancati investimenti in sanità », dichiara il capogruppo di Iv alla Camera, Davide Faraone. «La pandemia dovrebbe averci insegnato quanto sia essenziale tutelare la sanità, tutelare i medici che lavorano nei pronto soccorsi, ma a quanto pare questa maggioranza preferisce concentrarsi sui complotti, anziché sui servizi essenziali per i cittadini”, rincara Davide Faraone. Conclude: «Abbiamo chiesto al Governo di riaprire la linea di credito del Mes sanitario, che metterebbe a disposizione 37 miliardi per la nostra sanità a condizioni convenienti. L’ideologia però ha la meglio sulla ragionevolezza».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.