Il giorno della sentenza Le Pen è il giorno del paradosso, con i russi che si divertono a darci lezioni di pluralismo. È il giorno dell’indignazione sbilenca dei giustizialisti europei e di Matteo Salvini, che rimproverò la vedova Naval’nyj dicendole “i giudici faranno chiarezza”. Ma è anche il giorno che vede uniti, solo per fare un esempio, Giorgia Meloni e il massimalista di sinistra Jean Luc Melenchon. “Chi ama la democrazia, oggi non può gioire”, dice la prima. “Gli avversari si battono nelle urne”, dice il secondo. E con loro ci sono tutti i riformisti, i garantisti, i liberali del pianeta. Che mentre perdono sugli scranni del Tribunale di Parigi, in realtà hanno vinto. Come presto dovremo ringraziare Donald Trump perché ci fa riscoprire la necessità e l’orgoglio di essere europei, lo stesso ci toccherà fare con i giudici francesi. Hanno reso chiaro, in un giorno solo e a tutti, che siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Il dissenso e la libertà di parola non si toccano. Sono gli stessi principi che sembrano indebolire i regimi liberi rispetto alle dittature o alle democrature. Perché da noi ogni decisione è lenta, complessa, contrastata.

Perché da noi si concedono megafoni a chi urla che Putin è stato provocato e che Zelensky è un burattino, o che la difesa europea è un complotto planetario come lo era il Covid. Da “loro”, invece, si arresta il sindaco di Istanbul e si reprimono nel sangue le proteste, si perseguitano le donne di Teheran che osano solo liberare i capelli, si infilano gli oppositori dello zar nelle colonie penali dell’Artico, si massacra chi chiede libertà per i palestinesi e poi si lascia anche la firma: “Questo succede a chi si mette contro Hamas”. Serve a poco ricordare che Marine le Pen un tempo invocava la stessa tagliola in cui è incappata oggi. Sarebbe come dire che siamo contenti di esserci ammalati della sua malattia. Così come appare sterile citare la giurisprudenza in materia di ineleggibilità: norme e sentenze non hanno fatto altro, da tre decenni a questa parte, che assecondare una deriva in cui la politica è per definizione immonda, e spetta alla piazza e alle toghe redimerla.

La sentenza Le Pen, inoltre, è stata paragonata a quella che ha escluso dalle elezioni il candidato romeno Calin Georgescu. Ma siamo in un campo ben più insidioso. In Romania perlomeno si è fatto riferimento ad una cospirazione russa. Nel caso francese si è presa di mira la politica in quanto tale. Il confine fra attività europea e nazionale è infatti molto sottile, e chiunque ha dimestichezza con le prassi della democrazia lo sa bene. La novità è che da oggi lo sappiamo tutti: chi pensa di blindare la democrazia con tali scorciatoie, la pugnala alla schiena. Non solo perché moltiplica i voti di chi viene impallinato. Ma soprattutto perché l’opposizione che nelle urne punta a farsi governo è il battito cardiaco delle libertà. Oggi che la propaganda putiniana esulta, almeno sappiamo da dove ripartire.