Ventitré i capi di accusa, quattordici le assoluzioni. Parliamo dell’inchiesta che nel 2019 travolse l’ateneo Federiciano. I pm Henry John Woodcock e Francesco Raffaele indagavano e intercettavano il professore Angelo Scala. Origliavano pur non potendolo fare in quel frangente come dichiarato dal docente nella sua tesi difensiva. E non poteva essere intercettato perché non era indagato, le sue utenze erano sotto controllo nell’ambito di una inchiesta su una procedura fallimentare al Tribunale di Nocera nella quale Scala ricopriva un ruolo professionale (vicenda nella quale risulta estraneo). Ma questa è un’altra storia, anzi, è sempre la stessa: intercettazioni a strascico. Mesi e mesi per cavare fuori qualcosa.

Ebbene, l’indagine verteva su un punto preciso: sesso in cambio di esami. Mail e messaggi nei quali il prof di diritto processuale avrebbe invitato studenti e studentesse a fare un patto che consisteva appunto in un “patto di intimità” per superare senza difficoltà l’esame. Non ci sono denunce, nessuna studentessa ha portato alla luce l’accaduto. Ci sono le intercettazioni, tanto per cambiare… fiumi di inchiostro, mail, messaggi, telefonate, intercettazioni infinite che hanno distrutto la carriera e la vita privata di un docente. Ora, siamo in primo grado, quindi nessuna vittoria ma è senz’altro un’inchiesta che perde volume. Il giudice di Napoli Maria Laura Ciollaro ha condannato Scala a 5 anni, 6 mesi, 20 giorni di reclusione, con l’interdizione pubblici uffici.

Gli venivano contestate diverse tipologie di accusa, tra concussione, induzione indebita e falso. Il docente di Giurisprudenza, difeso dall’avvocato Claudio Botti, ha incassato anche 14 assoluzioni, la cancellazione del reato di concussione e la derubricazione di diverse ipotesi d’accusa in traffico d’influenza. «Non abbiamo ancora avuto modo di leggere il dispositivo – racconta il legale al Riformista – ma pare evidente che l’inchiesta si sia sgonfiata, non c’è più il reato di concussione». Acquista centralità un punto importante dell’inchiesta del Pm con il cognome straniero e sempre avvezzo alle intercettazioni, ovvero la serialità nel comportamento del prof Scala. La Guardia di Finanza scriveva infatti che si trattava di “conversazioni che hanno consentito di delineare un consolidato modus operandi (…) attraverso più o meno sottili forme di pressione psicologica”. È questo primo punto a cadere in sede processuale.

«L’indagine esce ridimensionata sotto il profilo della seriale e compulsiva attività sessuale nei confronti degli studenti» commenta Botti. Il giudice ha anche rigettato la richiesta di provvisionale da 20mila euro formulata dall’Università Federico II che si era costituita parte civile al processo. Siamo solo all’inizio di questa vicenda e le conclusioni sono tutte da scrivere ma restano in piedi delle domande non da poco. In primis, si può intercettare una persona che non è indagata? Anzi, peggio ancora, si possono utilizzare delle intercettazioni in un processo diverso da quello per il quale erano state disposte? Il nome del prof. Scala era su tutti i giornali poche ore dopo l’avviso di garanzia, è giusto? Altro che garantismo, presunzione di innocenza e altri principi… Questi sconosciuti.

E ancora dov’è finita la riservatezza della Procura? Le pagine dei giornali locali grondavano di intercettazioni, nero su bianco tutto quello che il docente avrebbe detto e scritto ai suoi alunni. Nero su bianco mesi e mesi di conversazioni. Sempre assecondando questa smania di spiare, intercettare, ascoltare, anche quando l’orecchio della Procura non dovrebbe, anzi, non potrebbe. E sappiamo bene che la smania di intercettare è il modus operandi tipico di una fetta di magistratura, al di là degli esiti del processo che è solo all’inizio, chiediamoci anche come è stato svolto e se la legge è stata rispettata prima in sede di indagini e poi in sede di condanna.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.