Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sul terzo mandato: “è giusto Estendere a tre il numero di mandati per i sindaci?”. Affrontano l’argomento il primo cittadino di Bari Antonio Decaro favorevole perché “così si dà ancora più potere ai cittadini” e Anthony Emanuele Barbagallo, deputato dem contrario perché “oltre i 5mila abitanti c’è il rischio di avere governatori assoluti“.

Qui il commento di Decaro:

Trent’anni fa, nel pieno di una delle stagioni più difficili per il nostro Paese, mentre il sistema istituzionale sul quale l’Italia si era retta dal dopoguerra era in piena crisi, il Parlamento trovò la saggezza e la forza di approvare a grande maggioranza una riforma che avrebbe avuto un forte impatto e una lunga vita: la nuova legge elettorale per i Comuni, con al centro, come grande novità, l’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini.

Per riconoscimento unanime, quello per i sindaci è il sistema elettorale che si è rivelato più equilibrato, efficace nel garantire allo stesso tempo stabilità, governabilità e alternanza, ed è stato soprattutto il più apprezzato dai cittadini. Tant’è vero che è tuttora il sistema di voto più longevo tra quelli in vigore per i vari livelli istituzionali, e molti ritengono che dovrebbe essere preso a modello anche per il parlamento nazionale.

Proprio perché l’elezione diretta dei sindaci rappresentava una rottura molto netta con la tradizione partitica, in quel lontano 1993 ci fu nel legislatore il timore che qualcuno avrebbe potuto approfittare di una legittimazione popolare così forte per instaurare nella propria città una forma di dittatura personale. E si pensò allora di inserire un antidoto a questo rischio: il divieto per i sindaci di essere rieletti per più di due mandati.

Solo la straordinarietà di quei momenti può giustificare retrospettivamente un divieto di questo genere. Perché ad oggi questo divieto non trova alcuna analogia in nessun paese europeo. Al contrario, prevale in Europa una concezione esattamente rovesciata del valore dei sindaci, fino all’estremo del caso della Francia dove i leader politici nazionali considerano un punto d’onore e di forza l’essere anche rappresentanti eletti delle proprie comunità.

La paura della dittatura comunale è ormai un ricordo del remoto passato, un rischio che non s’è mai neanche palesato. Nel frattempo, il sistema italiano si è arricchito di decine di misure, che nel ’93 non esistevano, utili e perfino sovrabbondanti per regolare, controllare, limitare, organizzare il lavoro delle pubbliche amministrazioni, e per prevenire o colpire ogni abuso di potere e ogni commistione fra interessi pubblici e privati.

Ciò che è rimasto, quindi, è semplicemente una assurda limitazione al diritto costituzionale di elettorato passivo, se la guardiamo dalla parte dei sindaci. Che è però anche una altrettanto assurda limitazione dell’elettorato attivo, se la guardiamo dalla parte dei cittadini. Perché alla fine stiamo parlando di una legge che si sostituisce al cittadino elettore e che stabilisce che a un certo punto, obbligatoriamente, una comunità non ha più diritto di scegliere liberamente da chi farsi amministrare. Non conta nulla se il sindaco abbia fatto bene, se sia meritato la fiducia dei concittadini, se abbia avviato interventi che – come spesso è inevitabile – hanno una portata strategica di alcuni anni. Niente da fare: se ne deve andare. Anzi, deve proprio scomparire, se pensate a quella misura ulteriormente penalizzante che proibisce a un ex sindaco di tornare a svolgere la propria attività precedente nella propria città, se si trattava di una attività in qualche modo pubblica.

È proprio per questo motivo che tutti noi sindaci – e l’Anci, che ci riunisce tutti al di là delle appartenenze politiche – chiediamo da tempo che cada questo anacronistico limite dei due mandati. Non solo per difendere la nostra dignità e un nostro diritto costituzionale. Ma soprattutto perché siamo convinti che dopo anni di lavoro per le nostre comunità, soltanto i nostri concittadini debbano poter decidere se meritiamo la riconferma o se sia arrivato il momento di tornare a casa.
Noi non veniamo eletti come capita adesso ai parlamentari, cioè nascosti nelle prime posizioni di listini bloccati. Noi veniamo eletti perché mettiamo la nostra faccia e le nostre competenze al giudizio degli elettori, ed è da loro (non dai capipartito o dai capicorrente) che riceviamo la fiducia. Abbiamo chiesto più volte al Parlamento, e recentemente anche alla Presidente del Consiglio, di prendere in considerazione il punto di vista unanime dei sindaci italiani. Abbiamo trovato nelle forze politiche attenzione, consenso, ma anche alcuni dubbi. Siamo pronti, come sempre, a discutere con tutti, con l’unico obiettivo di riconsegnare ai nostri concittadini quel potere di scelta che da trent’anni dimostrano di sapere usare così bene.

Antonio Decaro

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