Il nostro sistema politico ha, tra le altre malattie, anche una particolare infiammazione: la sondaggite. Un sistema già debole con fondamenta fragili e incerte entra quasi settimanalmente in fibrillazione a causa dei sondaggi sulle intenzioni di voto e della loro pubblicazione. E qui pubblicare significa rendere pubblici. E, visto che la realtà sociale è creata dal sistema mediatico, la discussione sui sondaggi crea buona parte della realtà politica.

Sondaggi merce pregiata di media e partiti

Credo che i sondaggi predittivi sulle intenzioni di voto acquistino rilevanza in Italia negli ultimi anni per due congiunture particolari. Prima di tutto sono “merce” pregiata del “mercato dell’attenzione“, cioè qualcosa che i media producono nella loro competizione vitale per aumentare l’audience e i “like”. Oggi non sono tanto i partiti a commissionare sondaggi che vengono ripresi dai media, ma sono i media che commissionano direttamente i sondaggi e che scandiscono i tempi del dibattito dei partiti. Casomai in un combinato disposto tra partiti e orientamento editoriale pieno di ambiguità. Il modo nel quale Report ha parlato recentemente dei sondaggi e dei sondaggisti è tutto dentro questa logica mediatica: fare audience e fare anche indirettamente un po’ di politica.

La crisi dei partiti

Ma una seconda ragione causa la centralità assunta dai sondaggi negli anni recenti. La debolezza culturale della politica e delle istituzioni (queste vanno considerate a pieno titolo parte del problema). I partiti non hanno né risorse sufficienti per commissionare ricerche sociali di qualità né una cultura adeguata a essere dei committenti validi e competenti. È la loro crisi a renderli ancora più esposti alle fibrillazioni indotte dall’uso mediatico del sondaggio.
Creare le condizioni per permettere ricerche sociali (quindi anche sondaggi sulle intenzioni di voto) affidabili dovrebbe essere un obiettivo trasversale perché è interesse comune che queste conoscenze siano le più affidabili e quindi vanno realizzate con le risorse economiche necessarie. Forse dovrebbe essere addirittura il Parlamento – con un concorso qualifica e trasparente, aprendosi a un approccio open source – a proporsi di fornire l’accesso a un campione random davvero rappresentativo degli italiani a coloro che lo vogliono utilizzare. E forse su un progetto del genere potrebbe essere coinvolto l’ISTAT.

Come tornare a sondaggi affidabili

Offrire la possibilità di una interpretazione affidabile delle opinioni degli italiani dovrebbe essere considerato un bene pubblico o qualcosa di molto simile e vicino. Su questo potrebbe innestarsi anche una parte della competizione tra gli attori politici visto che tanta di questa competizione è proprio sul terreno della comprensione della realtà, degli atteggiamenti e delle opinioni degli elettori. Questa conoscenza è una condizione indispensabile per avanzare proposte di governo e non fermarsi alla denuncia.
Per avvicinare la competizione tra i partiti alle scelte di governo allontanandola dalla competizione sui principi generali, se non dalla pura propaganda, va diffusa una conoscenza della realtà il più possibile fondata empiricamente. Cioè basata anche su una rappresentazione affidabile delle opinioni delle persone che la vivono. Insomma, l’affidabilità dei sondaggi che si divulgano in Italia è un problema politico sociale importante che va regolato (prima di tutto compreso) e non può essere abbandonato alle logiche del mercato dell’attenzione.

Mario Rodriguez

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