Diciamolo chiaramente, il problema della mancata concorrenza è lo specchio perverso di un paese che tende a preservare la mediocrità e l’esistente: un problema antropologico oltre che politico. La granitica intangibilità della lobby dei tassisti ne è l’esempio paradigmatico: mentre tutto il mondo liberalizza i servizi, noi siamo da decenni ostaggio di una piccola categoria di privilegiati che, con poco più di 20.000 licenze, blocca un intero mercato.

Trovare un taxi nelle principali città italiane è diventato un atto di fede. Nell’attesa di un taxi che non arriva mai, si sono consumati amori, ne sono nati di nuovi, e qualcuno si è persino laureato. Scenario affascinante per il plot di una serie televisiva, drammaticamente desolante per chi è abituato a muovere un braccio per fermarne uno.

Martedì 21 maggio, durante la manifestazione dei tassisti a Piazza San Silvestro, sono stato strattonato, insultato e buttato a terra semplicemente perché mi sono permesso di entrare in piazza con una maglietta con la scritta “Fermiamo le lobby, liberalizziamo”. Superato il rumore sordo (concedetemi l’ossimoro), i petardi e i lacrimogeni, rimangono solo i soprusi di una categoria che alimenta i propri privilegi con la complicità della politica.

Ci divertiamo a parlare di futuro, glorifichiamo il made in Italy, spendiamo continui panegirici per l’apertura di alberghi di lusso, ma abbiamo, citando un bel libro di Vittorio Gassman, solo “Un grande avvenire dietro le spalle”. In molte città, i bandi sono fermi da oltre 20 anni; abbiamo più sigle sindacali che taxi. Collezioniamo gli appelli dell’Antitrust che, a inizio marzo, ha chiesto nuovamente un aumento di licenze per Roma, Milano, Napoli, Firenze e Palermo, sostenendo che è necessario andare oltre il tetto del 20 per cento e regolamentare le doppie guide.

Ci sono 23.000 tassisti che non solo bloccano il mercato, ma regalano la fotografia, per nulla edificante, di un paese che calpesta il presente senza alcuna prospettiva di futuro. Che fare, quindi? Aumentare le licenze è sicuramente utile, ma non basta. Serve una liberalizzazione completa del mercato, l’apertura a nuovi operatori e una riforma complessiva e coraggiosa del sistema della mobilità per garantire un servizio ai cittadini, oggi completamente abbandonato.

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Matteo Hallissey

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