C’è chi, nel rimproverargli i modi irruenti e i toni gretti e aggressivi, gli riconosce comunque una discreta capacità di comunicazione. Certo, Stefano Bandecchi sa perfettamente come farsi sentire, cosa molto diversa dal farsi ascoltare, ma ciò non significa affatto che sia anche bravo a comunicare. Chi lo pensa commette un errore grossolano perché si lascia attrarre unicamente dalla scorza rugosa quale cifra stilistica del personaggio, ma non si sofferma e non tiene in conto che qualsiasi codice comunicativo per essere efficace deve inchiodare nel destinatario un messaggio, un seme che nel nuovo terreno che l’accoglie trova un ambiente fertile per attecchire e poi sbocciare.

Invece nel caso di Bandecchi non si può parlare di comunicazione in senso stretto, perché da tempo e in tantissime occasioni ha dato prova di infischiarsene altamente della ragione fondativa di questa cessione gratuita a terzi di valori e di idee. Bandecchi non comunica perché è l’antitesi perfetta della comunicazione, la cui la matrice etimologica (dal latino communicare) significa per l’appunto mettere in comune, fare in modo che il proprio pensiero raggiunga gli altri e in questo approdo perda una quota significativa paternità, per rigenerarsi nel confronto e nella condivisione. Anzi, da questa incontro-scontro il messaggio trae nuova linfa per continuare il suo percorso circolare e virtuoso.

Ecco perché il sindaco di Terni tutto è fuorché un comunicatore: non ha l’affanno della condivisione del messaggio, a lui interessa mettere a fattore comune pensieri e parole, in quanto è solo uno dei tanti leader prigionieri della bulimia dell’hype. Stefano Bandecchi, per farla breve, non comunica: al più è abile, più che bravo, a generare catene di polarizzazioni social. Il segreto della popolarità di Bandecchi è tutto qui, nella unione sincronica di due fattori che – come ampiamente già visto in altri contesti – diventano propellente per le interazioni: l’essere ossessivamente e meccanicamente ripetitivi nel cliché e al contempo condividere questa replica a oltranza sulle piattaforme è una formula di successo.

Adesso Bandecchi funziona, pur non comunicando alcunché, proprio perché – inseguendo l’hype di giornata – non ha remore a mettere in pubblica piazza la sua istintività, senza veli e filtri di sorta, ma soprattutto senza cedere un centimetro di spazio al formalismo e alle buone maniere. Ogni giorno Bandecchi recita il solito copione dell’arcitaliano menefreghista delle regole e dell’etichetta e gli utenti sono pronti ogni volta a masticare con gusto le sue performance eclatanti. Qui parte la seconda fase dell’hype, con l’utente che decide di riversarle così come sono o manipolate a proprio piacimento (l’user generated content, per dirla come quelli bravi e preparati) nelle loro micro bolle digitali. In questa distanza tra sapere comunicare o limitarsi a soffiare nel mantice delle polarizzazioni social c’è anche la caratura e la credibilità dei leader politici.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).