Ventisei anni senza verità e giustizia. Un muro di gomma istituzionale sempre più alto sul quale si sono infrante le speranze dei familiari di Antonio Ciacciofera. Palermitano di origine sarda tornato nel capoluogo siciliano a soli 24 anni, dopo un viaggio di piacere a Cuba e Costa Rica, dentro una bara, privato di tutti gli organi. Ufficialmente Ciacciofera sarebbe morto a causa di un incidente stradale ma sono tantissime le ombre e le domande senza risposta su quanto accaduto quel 16 maggio 1994 nella cittadina cubana di Cienfuegos. Tant’è che, su sollecitazione dei familiari e dopo gli appelli del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, un gip della procura del capoluogo siciliano starebbe lavorando per provare a fare luce su un caso archiviato da anni. Che, per certi aspetti e con le debite differenze, ricorda quanto accaduto al ricercatore Giulio Regeni. Un giallo internazionale coperto dalla coltre della ragion di Stato a salvaguardia dei rapporti istituzionali tra due nazioni: Italia-Egitto per Regeni, Italia-Cuba per Ciacciofera. Ma cos’è accaduto il 16 maggio 1994? Riavvolgiamo il nastro di una storia gravida di perché.

La paura prima della partenza

Antonio Ciacciofera è abituato a viaggiare. Lavora alla Banca commerciale italiana e dato che non dipende dalle agenzie ma dalla direzione centrale, ogni tre mesi cambia luogo di lavoro e mansione. Eppure prima della partenza per Cuba, Ciacciofera confida al fratello Giancarlo, nel buio della camera da letto, di avere paura: «Non aggiunse altro, provai a chiedergli perché ma non disse niente. Ancora oggi quella frase mi martella nella testa». L’8 maggio 1994 Ciacciofera parte per il Costa Rica e poi alla volta di Cuba, in compagnia della spagnola Ana Lopez Rivas, conosciuta a Cuba in un precedente viaggio. Dal giorno della partenza Ciacciofera non si farà più sentire: «Cosa molto strana – dice Giancarlo – perché mio fratello ha sempre chiamato nei suoi tanti viaggi». In realtà una chiamata, di notte, arriva. Dall’altro lato della cornetta è Ciacciofera. A rispondere è l’altro fratello, Michele. Il messaggio è laconico: «Michele, aiuto!». La famiglia sottovaluta l’allarme perché Ciacciofera è solito fare scherzi telefonici. Così quella chiamata cade nell’oblio. Passano pochi giorni e a cambiare per sempre la vita della famiglia palermitana è un’altra telefonata. È il 19 maggio 1994. La polizia italiana comunica la morte di Ciacciofera a seguito di un incidente stradale verificatosi tre giorni prima tra Trinidad e Cienfuegos. Ma perché quei tre giorni di ritardo?

Un corpo scarnificato

Il 21 maggio e dopo molte resistenze da parte dell’ambasciata cubana, la salma di Ciacciofera arriva a Palermo. Viene aperta un’inchiesta dalla procura del capoluogo e ad esaminare il corpo martoriato, il 27 maggio, è il medico Livio Milone che ne evidenzia il totale espianto degli organi. Milone, dettagliando le ferite, ritiene compatibile che Ciacciofera sia rimasto coinvolto in un incidente. Invece secondo il medico di parte, Giuseppe Daricello «sono tanti gli elementi – scrive nella perizia – incompatibili con la causa dell’incidente stradale». «Mio fratello aveva tutte le ossa rotte», racconta Giancarlo. «La scatola cranica era stata aperta e poi ricucita, era stato privato di tutti gli organi tranne delle cornee. Era scarnificato». Tra i tanti sospetti c’è una cicatrice nella zona lombare: «La Scientifica – dice Giancarlo – è venuta a casa per chiedere una foto a petto nudo di mio fratello perché è stata trovata una cicatrice nella parte lombare, dalla quale sono stati asportati i reni. Cuba ha fatto sapere che Antonio sarebbe stato operato di appendicite. Ma un ragazzo che ha tutte le ossa rotte perché viene operato di appendicite?». Chi e perché è intervenuto sul cadavere in questo modo? Milone nella sua relazione scrive che il «corpo è stato sottoposto ad esame autoptico». Come mai, allora, la famiglia non è stata messa al corrente? C’è anche un’altra ipotesi e cioè che la salma sia stata preparata per affrontare il viaggio in aereo. Ma tagli così estesi, in tal senso, non possono essere giustificati. Ecco perché, secondo i familiari, «Antonio potrebbe essere rimasto vittima di una rete di trafficanti d’organi. La Convenzione di Berlino non parla di asportazione di organi ma di operare sui cadaveri un trattamento di formalina per far rimanere il cadavere integro. Pare che Cuba preveda l’espianto degli organi ma è una soluzione non riconosciuta a fini internazionali. Crediamo che sulla vicenda di Antonio, ripresa da tutti i media, ci sia voglia da parte della politica di mettere a tacere tutto per non alterare i buoni rapporti tra le due nazioni». Che, negli anni Novanta, erano piuttosto buoni. E ancora oggi, grazie ai recenti rapporti bilaterali, navigano a gonfie vele.

Ana Lopez Rivas e le pressioni politiche

Tra le tante ombre di una storia ancora tutta da chiarire, sullo sfondo si staglia il ruolo di Ana Lopez Rivas, conosciuta a Cuba da Ciacciofera nel ‘93 e compagna di viaggio in quel maledetto maggio ‘94. È la sera del 20 maggio. La Lopez chiama Michele Ciacciofera da una cabina telefonica e rivela di essere in pericolo. Aggiunge che «quello che vi è stato raccontato non è vero, sappi che la responsabilità è dei medici». «Poi ci fa sapere – racconta Giancarlo – che non può dire altro ma non appena tornerà in Spagna ci richiamerà per raccontare come sono andate le cose. Arrivata in Spagna, però, il suo atteggiamento cambia. Invia una lettera dicendoci che l’unico modo per parlare con lei è attraverso il suo avvocato». Perché questo improvviso dietrofront? Ma c’è anche un’altra donna. Si chiama Ana Cerceda, rimasta coinvolta nel presunto incidente. Da quanto emerso dai documenti prodotti dalle autorità cubane, la donna sarebbe rimasta paralizzata. Ma quando Gaspare Sturzo, pm palermitano titolare dell’inchiesta, si reca in Spagna, verifica che Cerceda sta benissimo. «Sturzo – dice Giancarlo – si era fatto l’idea che Lopez potesse essere parte di questa rete di trafficanti d’organi. Consiglia a mia madre di andare avanti nella ricerca della verità anche perché ci sono forti pressioni sulla politica italiana da parte di quella cubana. E la politica le riversava sulla procura».

Il silenzio delle istituzioni

Passano gli anni e la procura archivia l’inchiesta. La verità si allontana. «In questa storia – morde Giancarlo – ci stupisce anche il fatto che muore un ragazzo siciliano, il ministro degli Esteri è siciliano (Antonio Martino, ndr), il sottosegretario (Enzo Trantino, ndr) pure, forse era il contesto ideale per battersi e per conoscere la verità. Ma così non è stato. L’ambasciatore italiano a Cuba, Giorgio Malfatti, che secondo la Farnesina aveva gestito bene il caso, è stato trasferito in un paese meno importante rispetto alle geometrie politiche internazionali. In questi anni non si è mai fatto vivo nessuno. Siamo stati abbandonati dallo Stato». Nei giorni scorsi abbiamo provato a contattare l’attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per provare a strappare un impegno nella ricerca della verità, ma non abbiamo avuto risposte. Quelle che la famiglia Ciacciofera aspetta da ventisei anni.