La ricerca del “capro espiatorio”. Quella che scattò all’indomani (29 giugno del 2009) del terribile incidente ferroviario che causò la morte di 32 persone e lesioni gravi per un altro centinaio. Dopo sedici anni, duecentocinquanta udienze e sei processi, quello d’appello ter non modifica le sentenze dell’appello bis: cinque anni per l’ingegnere Mauro Moretti (all’epoca dei fatti ad di Ferrovie dello Stato), 4 anni 2 mesi e 20 giorni per l’ex ad di Rfi, Michele Mario Elia, e pene fino a 6 anni per gli altri imputati. Insomma il “capro espiatorio” che una parte dell’opinione pubblica e dell’informazione ha voluto fin dalle prime battute. Di lui, di Moretti, si diceva “è un musone, un freddo, non ha sentimenti, non sorride quasi mai”. Di conseguenza “è colpevole per forza”. O ancora meglio, ha il physique du rôle ideale. Il Riformista ha intervistato l’avvocato Ambra Giovene, legale dell’ex amministratore delegato.

Avvocato, alla fine cosa è rimasto del teorema giudiziario su Moretti?
«L’elemento più paradossale di tutti? Si imputa al mio assistito di non aver dichiarato inefficaci le regole europee che governano il trasporto dei carri merci. Ovvero avrebbe dovuto disapplicarle e fissare nuove regole in disaccordo con le norme europee. Non solo si ipotizza tale competenza in capo all’amministratore delegato, ma avrebbe dovuto farlo prima del drammatico incidente, secondo una valutazione ex post. Insomma l’Ing. Moretti è stato condannato per aver rispettato le regole allora vigenti e governate da un sistema europeo, oltreché nazionale».

Di quali regole parla?
«Sostanzialmente direttive europee e leggi italiane che hanno voluto la liberalizzazione del mercato ferroviario e consentono l’interoperabilità di carri, carrozze e locomotori in Europa, sotto il controllo di un’Agenzia per la sicurezza ferroviaria Europea e di quelle nazionali, proprie di ogni Stato. Regole rispettate anche nel caso di Viareggio. L’amministratore delegato è in pratica colpevole di non essersi avveduto della mancata manutenzione dell’assile che si ruppe, che avrebbe dovuto essere garantita da una officina tedesca. Manutenzione non fatta ma dichiarata eseguita dall’officina e, per ciò, non verificabile né rintracciabile, come ha formalmente chiarito la Direzione del Ministero dei Trasporti titolare, per legge, delle investigazioni per gli incidenti ferroviari».

Dal 2009 ad oggi le regole europee sono cambiate?
«No. A riprova del fatto che le regole che sovrintendono la circolazione in Europa non solo non possono essere cambiate dal singolo Stato e tantomeno da una azienda, ma sono tuttora valide in tutta Europa, Italia compresa».

L’avvocato Ambra Giovene

Avvocato quindi dove risiede la responsabilità dell’ingegnere?
«Il mio cliente, avendo rispettato tutte le leggi e norme europee e nazionali di settore, non è stato condannato per una responsabilità specifica, bensì per una responsabilità generica basata sul non avere rispettato il principio del “neminem laedere” (non danneggiare nessuno) in un settore a rischio consentito, regolato appunto dalle leggi e norme specifiche.
Questo sta scritto nella sentenza di Cassazione del 2021».

Cosa scrissero i giudici?
«Secondo la sentenza, Moretti avrebbe dovuto dare indicazioni contrarie a quelle leggi e norme ancora in vigore.
In quale paese al mondo si può fare un’attività se non basta rispettare la legge? Ed addirittura un singolo individuo deve agire contro la legge?».

Altre imputazioni a carico dell’allora Ad sono cadute?
«Si, per tutte le altre condotte è stato assolto. Nella sentenza di rinvio del 2022 è caduta definitivamente anche la pretesa responsabilità sulla mancata riduzione di velocità del carro merci».

Ha pesato in questi anni il clima “colpevolista” dell’opinione pubblica?
«Certo, soprattutto nel settore dell’informazione. Ritengo fondamentale che chi scrive di ciò che avviene nelle aule giudiziarie almeno conosca gli atti. Nella mia esperienza non sempre è successo. Nel lungo processo che ha coinvolto il mio cliente, ho avvertito spesso tensione».

Dopo la conferma della condanna a cinque anni, quali sono le prossime mosse?
«Leggeremo ovviamente le motivazioni ma è una sentenza che merita di essere di nuovo oggetto di esame da parte della Cassazione. Potevano non arrivarci e chiudere questo processo oggi, ma non è dipeso da noi».

Sempre seguendo lo stesso filo processuale?
«La tendenza è quella di ritenere responsabili solo gli amministratori delegati, succede purtroppo in tanti altri processi. Un fenomeno che non aiuta da nessun punto di vista il Paese a progredire».