Caro Filippo,
intanto grazie per l’attenzione e il tempo che hai voluto dedicare al nostro Manifesto! Se abbiamo ben capito tu dici: d’accordo, il clima di censura e autocensura del politicamente corretto sarà anche opprimente ed eccessivo, ma ben peggio la volgarità imperante. E tracci un quadro ahimè realistico e deprimente del mondo in cui viviamo, esprimendo appieno il tuo disagio, e disgusto, di vivere in questi tempi. D’accordo. Condividiamo totalmente. Non ci piace per niente il mondo in cui ci è toccato vivere. E lo abbiamo detto più volte (Luca ha scritto un libro per descrivere questa società, chiamandola “società signorile di massa” e descrivendo proprio quel che tu dici).

Ma ci pare di aver preso molto esplicitamente le distanze dal mondo dei social e affini (talk show, politicanti e altri ciarlatani da circo), che non giudichiamo nemmeno degno di esser preso in considerazione. Anzi, a chi decide di navigare in quella melma diciamo: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Nessuna pietà e comprensione gli è dovuta. Certo, siamo consapevoli di un possibile equivoco sulla parola libertà, liberare, ecc. Noi intendiamo che si debba liberare il pensiero, e le parole, dalla dittatura del Bene. E tu dici che il pensiero e le parole, sui social e affini, sono già abbastanza liberati, anzi, sfrenatamente e spudoratamente liberi. Il rischio di questo equivoco ci è ben presente, faremo di tutto per chiarirlo in ogni occasione.

Quindi la tua tesi è: c’è un “cattivismo” da combattere, dunque sopportiamo la promozione continua del Bene e la retorica buonista e il politicamente corretto, e anche l’ipocrisia (omaggio del vizio alla virtù, perfetto!), perché almeno cercano di porre un freno alla volgarità e cattiveria dilaganti, cercano in qualche modo di rieducare.
Per carità, è vero che c’è molto di che combattere; e sicuramente una massiccia dose di super-io sarebbe bene che l’umanità la recuperasse! Come anche un po’ di sana e semplice educazione, e pudore. Dovremmo ricominciare a educare, e a educarci: e qui tutto parte dalle famiglie, dai nuovi genitori che di fronte ai nuovi figli ci sembrano davvero disarmati e impreparati, o forse solo molto distratti da altro (social, socializzazioni selvagge, intrattenimento-divertimento al primo posto, ecc.): sarebbero gli adulti i primi a dover essere ri-educati…

Ma avremmo 3 obiezioni:
1. Non ci piace un’élite che si arroga il compito di rieducare le masse….
2. Il politicamente corretto può anche avere un senso, ma i suoi eccessi no! E ora ci pare che stiamo arrivando a eccessi intollerabili, a un “follemente corretto” (di cui forniamo nel Manifesto svariati esempi, cui tu non fai il minimo cenno: com’è? Li approvi, questi esempi folli? Non ti disturbano??) che sinceramente non è accettabile, offende la nostra intelligenza, scavalca il senso comune, e sfiora il ridicolo.
3. C’è anche qualcosa di personale, che vogliamo aggiungere contro la tua tesi: noi abbiamo un grado di tolleranza verso l’ipocrisia e la retorica davvero molto basso…!! Ma soprattutto ci pare che questa imposizione dall’alto su cosa è bene dire e pensare sia non solo intollerabile, ma anche perniciosa. Sa di élite e di establishment, Filippo! E pensare che tutto ciò ci viene dalla sinistra, sinceramente… come fai tu ad accettarlo?

Inoltre noi abbiamo un dubbio (che nel Manifesto abbiamo espresso, forse troppo debolmente): e cioè, quanto più l’oligarchia dominante (dei pochi buoni e illuminati che noi chiamiamo Custodi del Bene) si affanna a dirigere le nostre vite, i nostri pensieri e le nostre parole, imponendoci dall’alto quel che è giusto secondo loro, tanto più l’odio del volgo cresce. E il volgo, si sa, si esprime come può, cioè in quei modi volgari, violenti e gretti che tanto ci indignano e che ci muovono, noi Custodi del Bene, a intensificare fino alla follia il politicamente corretto per lanciarlo contro l’odio e la volgarità sempre più dilaganti… Lo vedi che è un serpente che si morde la coda? Cioè, siamo sicuri che il rimedio all’errore non inneschi e moltiplichi l’errore?

Ma poi, gli odiatori sui social sono un’esigua minoranza di mentecatti, che come tali andrebbero trattati; invece i media, le case editrici, le agenzie pubblicitarie, li prendono molto sul serio, danno loro uno spazio enorme. Perché? Perché in fondo gli sono utilissimi. Li cavalcano per i propri scopi. Bisognerebbe invece semplicemente ignorarli, e staccare la spina, prendere chilometri di distanza, lasciandoli a sguazzare nel loro fango. Ma qui, il mondo della cultura (scelgo questo ambito perché noi vi apparteniamo), si faccia qualche domanda e si prenda qualche colpa: perché molti di noi scrittori, e artisti, attori, registi, stanno sui social? Perché accettano e condividono quel fango? Per autopromozione? Per stare sotto i riflettori? Per vendere? Per esserci, e non sparire nel nulla? Non dovremmo invece, proprio noi che viviamo tra le parole e i libri, affrontarlo quel nulla, e affermarlo con forza proprio in opposizione a quel mondo che tanto ci indigna? Quel nulla che poi nulla non è, lo sappiamo bene, ma è riprenderci quella riservatezza, quello spazio di silenzio, concentrazione, studio, pensiero (libero!), che poi sarebbe semplicemente la sostanza del nostro lavoro. O no? Sarebbe bella una riflessione sul mondo degli intellettuali (non mi piace la parola intellettuali, ma non ne trovo un’altra e spero tu m’intenda…), non trovi?

Ignorando dunque com’è giusto l’esigua e chiassosa e volgare minoranza che si affolla sui social, proviamo ora a pensare invece alla maggioranza, all’umanità media e non solo ai beceri volgari che ne sono le frange estreme; pensiamo alla gente normale, comune e normalmente perbene, alla gente che lavora, coltiva buoni sentimenti, ha una buona educazione, ma non è accecata da ideologie e non appartiene a nessuna setta di eletti né bazzica in luoghi di potere: ebbene, a noi non par giusto che questa gente venga giudicata male a priori, e quindi osteggiata e denigrata, e anche esclusa, solo perché non parla e non pensa come i potenti Detentori del Giusto e del Buono hanno deciso che si debba parlare e pensare! Sì, può anche venire esclusa: banalmente dalle cene con amici, e, meno banalmente, da relazioni utili, lavori, appalti, finanziamenti. Solo perché non appartiene alla parte giusta del Paese? E chi lo ha deciso qual è la parte giusta? Noi non vogliamo che esista una parte giusta (o migliore!) del Paese, che si è autonominata come tale e pontifica dall’alto. Soprattutto se quella parte appartiene al mondo della sinistra, che ci piacerebbe vedere più in sintonia col sentire della gente comune e non ergersi a giudice e giustiziere dell’umanità perduta…

Invece non abbiamo proprio capito l’ultima parte del tuo articolo, sulla disabilità. Non ci passa nemmeno per la testa di dire “afflitto” o “infelice” a uno che sta sulla sedia a rotelle! Ma come ti viene in mente? Semplicemente abbiamo detto che chiamarlo “persona con disabilità” non ci pare possa rendere meno dolorosa e più accettabile la sua condizione. E nemmeno che tale nuova definizione sia più rispettosa da parte nostra. Semmai molto più ipocrita!!! Sappiamo tutti bene che quel “con”, a dispetto del suo senso letterale, non aggiunge un bel niente e non ribalta certo quel che è e resta una mancanza! Dài, Filippo…! Sai benissimo che il rispetto, sempre dovuto, passa da ben altro: gesti, sentimenti… E sì, anche compassione, perché no? Mi ci fai pensare adesso… Dire afflitto o infelice è sottolineare la condizione svantaggiata dell’altro. Va bene, e allora? La pietà umana, la compassione alla lettera, come “capacità di provare dolore insieme all’altro”, al meno fortunato (cum+patior: con+patire), non è sempre stato un valore? Non lo è più? Cioè, vogliamo essere così tanto ipocriti da non compatire più la persona colpita da disgrazia, anzi da felicitarci con lei per la disabilità con la quale convive?? (ma si potrà dire “disgrazia”? No, non credo proprio!! E neanche “colpita”! Quali altre parole vogliamo trovare, Filippo?).

Non so, mi pare che stiamo dimenticando i fondamenti del nostro essere umani. La semplicità e tragicità della condizione umana, che dovrebbe tutti accomunarci, senza tanti distinguo, sottigliezze folli, e ipocrisie: siamo già tutti naturalmente inclusi, nella vita e nella morte, nella buona e nella cattiva sorte. Non abbiamo bisogno di distinguere e difendere e premiare, e inventare!, infinite categorie di derelitti, a cui dobbiamo naturalmente, per comune appartenenza al genere umano, tutto il rispetto e tutta la compassione e tutto l’aiuto, che non hanno bisogno di essere esibiti, legiferati, e imposti! Cerchiamo di recuperare qualche goccia di buon senso, e smettiamo di ergerci a Legislatori del Bene, perché produrremo solo i Sudditi del Male… Comunque, Filippo caro, la verità è che continueremmo all’infinito a parlare con te! Perché è bello dialogare tra di noi, e con te è un vero dialogo, con dubbi, e posizioni anche divergenti, ma con grande rispetto reciproco, e passione, ci pare di poter dire… Di nuovo grazie! Con la segreta speranza di rivederci presto, magari sugli scogli neri di lava di qualche isoletta vulcanica, che ci ricordano la nostra comune, e molto inclusiva, precarietà…

Paola Mastrocola, Luca Ricolfi

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