Le previsioni iniziali per il Superbonus erano di 36.5 miliardi di euro: oggi siamo a 93, ma il conto è destinato a superare i 100 miliardi. Si tratta di un bonus che nel biennio 2021-2022 ha contribuito a una crescita del Pil solamente dell’1%, permettendo di riqualificare soltanto il 3.5% degli edifici residenziali (gran parte unifamiliari) italiani. Silenziosamente, all’oscuro dai più, il Bonus 110% ha lacerato le già magrissime casse pubbliche. I quasi 100 miliardi – ai quali si aggiungono i 26 miliardi di bonus facciate – costeranno nei prossimi anni mediamente circa 25 miliardi euro l’anno: nei fatti, si è ipotecata la politica economica nazionale del prossimo quinquennio. Nella generazione del Superbonus si sono presentati in maniera netta due ordini di problemi. Il primo, legato allo stesso funzionamento della democrazia: su questa misura non c’è stata sostanzialmente opposizione.

Né politica (le stesse forze di Governo, che oggi si scagliano contro il provvedimento, l’hanno nemmeno troppo velatamente sostenuto anche dai banchi dell’opposizione, compiendo l’ennesima giravolta), né tantomeno proveniente dal mondo dell’informazione. Si è infatti manifestata una generale disattenzione, un disinteresse sul tema da parte del mondo dei media, oltre che da quello accademico degli economisti. Il secondo, probabilmente decisivo, sono stati gli errori delle istituzioni di controllo, su tutte la Ragioneria Generale dello Stato. Dopo la crisi del Covid molte barriere sui conti pubblici sono cadute, e anche il MEF non ha salvaguardato le finanze statali come accaduto in passato.
Prima dell’approvazione del Superbonus, l’Ufficio parlamentare di bilancio – che ha però un ruolo solamente consultivo – aveva avvisato sul possibile impatto e sui rischi di una sottovalutazione.

Chi aveva un potere istituzionale decisivo, capace di fermare l’introduzione di spese a debito, era appunto la Ragioneria. Le stime sul provvedimento sono state però di circa 78 miliardi di euro più basse, se si considerano tutti i bonus edilizi. Non si può negare si sia trattato di un errore tecnico davvero molto grave, forse senza precedenti. Con ciò non si vuole certo deresponsabilizzare la politica e i partiti dalle proprie scelte, quanto piuttosto far riflettere sulle possibilità, davanti ad abbagli così evidenti, che anche i giudizi tecnici possano purtroppo cedere a pressioni di Palazzo Chigi ed esecutive. In questo quadro – che presenta un problema di credibilità tra gli apicali ruoli tecnici di controllo e garanzia – la politica dovrebbe uscirne anzi ancora più carica di responsabilità, nel rendersi maggiormente consapevole del proprio potere di indirizzo e influenza.

Antonio Bompani

Autore