Poiché non è mai accaduto che in un partito italiano si formasse una diarchia come quella dei dioscuri Salvini e Giorgetti, la biologia della politica dice che si avvicinano i tempi di una scissione. Le scissioni sono le prime forme di evoluzione degli organismi, anche se non sempre entrambi i pezzi sopravvivono. Prima dell’incontro scontro al Consiglio Federale della Lega il segretario Salvini ha deciso che non ci sarà alcun avvicinamento al Partito popolare europeo ma invece un rafforzamento del patto di ferro con l’ungherese Viktor Orbàn e col polacco Mateus Morawiecki. Il piano di Salvini è mettere insieme, sempre in Europa, lepenisti e Giorgia Meloni, lasciando fuori i tedeschi di AfD, che sono impresentabili.

Dunque, tiriamo le somme. Al primo round ha detto “qui comando io” e Giorgetti si è formalmente sottomesso. Ha anche detto, Giorgetti, che lui è un po’ goffo con i giornalisti, i quali interpretano e insomma ha chiesto scusa o quasi. Psicoanalisi dell’evento. Il maschio dominante ha detto “qui comando io” e ha indicato la direzione della sua lunga marcia. Giorgetti non ha opposto resistenza. Ma non è stato risolto niente e dunque la resa dei conti è soltanto rimandata perché la visione europea di Salvini e quella del suo numero due fanno a pugni e una delle due vincerà mentre l’altra dovrà fare fagotto. Ma qui entrano in campo le due diverse personalità. Giancarlo Giorgetti è un uomo silenzioso, pratico, con progetti ben definiti nella testa e rappresenta il garante del vasto tessuto di imprese degli industriali veneti e lombardi che sono nel complesso tutti nostalgici della Lega Nord di Umberto Bossi. Sono per lo più berlusconiani, non gradiscono politiche aggressive e cercano qualcuno con i piedi per terra e la testa sulle spalle.

Poi c’è il fattore Draghi. Draghi è un ammaliatore allevato dai gesuiti al liceo Massimo dove dragheggiava in matematica, ed esprime, come ognun vede, autorevolezza e determinazione. Capisce le logiche dei politici perché è uomo di mondo ma anche di “quantitative easing” e per antica abitudine dà del tu ai grandi della Terra. Con lui, Salvini ha evitato di recitare la sottomissione, ma ha ottenuto un margine di docile filibustering. Draghi lo guarda come un giovanotto un po’ discolo, ma anche indispensabile e insomma l’equilibrio psicologico fra i due regge.
Ma con Giorgetti, altro che equilibrio fisiologico. Il presidente del Consiglio e il ministro Giorgetti si sono ritrovati sui fondamentali, prima di tutto quelli umani. Giorgetti ha rapidamente accettato la leadership di Draghi e con ciò stesso ha rinnegato quella di Salvini. Fra i due, sceglie Draghi. E non si tratta solo di una questione di simpatia e affinità: Giorgetti si accredita come rappresentante del ceto produttivo, mentre Salvini si accredita come un portatore di capricci in Europa.

Il progetto di Salvini. consistente in un rimaneggiamento dei gruppi sovranisti nel Parlamento Europeo, è portatrice di tempesta e questo Giorgetti lo sa benissimo. Non si tratta soltanto del caso Orbàn, ma anche del caso polacco. La Polonia è totalmente dipendente dai contributi europei ed è uno dei pochi Stati che vivono di fatto grazie all’Unione. Ma la Polonia si è messa di traverso quando la sua Corte costituzionale ha respinto la consueta richiesta di una cessione parziale di sovranità da parte dell’Unione. La corte di Varsavia ha risposto che non se ne parla. La von der Leyen si è molto seccata e ha mandato a dire ai polacchi che l’Europa è stufa di questi capricci ad Est e che le regole non le fanno i Paesi dell’ex Patto di Varsavia che reclamano una sorta di statuto speciale per aver sopportato il giogo sovietico per due generazioni. Questo atteggiamento degli ungheresi e dei polacchi a Giorgetti non piace, dal momento che non piace a Draghi a cui piace la von der Leyen.

Draghi lo sa e avverte nell’inerzia, indifferenza e latente ostilità di Giorgetti una minaccia letale, anche se non espressa. Per di più il numero due della Lega ha presentato una proposta evidentemente provocatoria, quella di far confluire la Lega nel Partito popolare europeo, cosa che ha fatto fare fuoco e fiamme a Salvini per il quale il Ppe è una succursale dei partiti di sinistra e lui ormai non ha altra identità da sostenere se non quella di essere non di sinistra, ovvero contro tutti gli alleati dei socialisti, come per esempio il Ppe. E lì sta il nodo e anche la bomba ad orologeria. Il fatto che nella riunione del Consiglio federale non sia esplosa alcuna bomba e che Giorgetti abbia in apparenza chinato la testa, non vuol dire affatto che tra i due sia scoppiata la pace, ma anzi si è approfondita la rottura della faglia che poggia sugli umori del silenzioso e laborioso ceto medio della piccola industria che è poco salviniano e molto draghiano, ovvero si riconosce nel solido e silenzioso Giancarlo, creatore di fatto della Lega punto due: niente chiasso, zitti zitti, piano piano, senza fare confusione.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.