“Ascolto tutti ma poi decido io, come sono solito fare”. Ha le idee chiare Matteo Salvini ancora prima di iniziare il Consiglio Federale diventato una sorta di “Gran Consiglio” dopo lo scontro con il suo braccio destro e numero 2 del partito Giancarlo Giorgetti. Non è qui e non è adesso il tempo del regolamento dei conti tra i due. La Lega, anche, per tradizione, è un partito col pensiero unico che ha sempre mal sopportato correnti e controcorrenti, più nella tradizione comunista che in quella liberale.

Però una cosa è emersa chiaramente ieri sera: la Lega non entrerà nel Ppe e non abbandonerà il progetto di un nuovo partito di destra europeo con Orban e i conservatori polacchi come invece aveva suggerito Giorgetti. “In Europa – ha detto Salvini ai 40 delegati in presenza negli uffici della Camera e agli altri collegati – andremo avanti nella costruzione di un grande gruppo, identitario, conservatore e di Centrodestra, alternativo ai socialisti con cui il Ppe governa insieme da anni”. Una scelta di campo netta e precisa che ne presuppone un’altra: Salvini preferisce essere Bud Spencer, eroe dei western da cassetta, anziché la raffinata Meryl Streep, meno vistosa ma vincitrice di Oscar. Che era l’altra opzione che, sotto metafora, Giorgetti ha suggerito al suo segretario.

Pochi si aspettavano uno strappo. Che infatti non c’è stato. Il che non vuol dire che la linea di frattura non sia evidente e anche profonda. Salvini convoca il Consiglio Federale alle 18 a Roma negli uffici del gruppo Lega alla Camera dei deputati. Peccato che nelle stesse ore sia previsto anche il Consiglio dei ministri, importante soprattutto per Giorgetti che porta a sua prima firma il decreto Concorrenza. Nel partito sono ore in cui pochi hanno voglia di parlare e pronunciare frasi di senso compiuto. Quei pochi indicano già nell’orario della convocazione un segnale “poco conciliante” rispetto alla pattuglia dei tre ministri che per il solo fatto di sedere al governo sono considerati “meno in linea” con il segretario.

Un po’ come succede anche in Forza Italia. Poi il Cdm anticipa di un paio d’ore, il Federale ritarda di mezz’ora e Giorgetti, Garavaglia e Stefani possono lasciare palazzo Chigi per raggiungere il segretario. Che entrando a Montecitorio mostra un sorriso rassicurante: “Stiamo affrontando questo periodo di governo di unità nazionale per superare la pandemia. Il futuro che abbiamo in testa è un governo liberale, di centrodestra, fondato su alcuni valori: la difesa della famiglia, delle libertà e il taglio delle tasse. Questa la linea. Quindi adesso vado, ascolto tutto e poi decido. Come ho sempre fatto”. L’intervento del segretario è durato circa 50 minuti. La prima parte dedicata alla politica interna. Tra i temi e gli obiettivi ha rimarcato “il massimo impegno sul taglio delle tasse”. Ha ribadito che “nove miliardi per regalare redditi di cittadinanza a furbi ed evasori non sono rispettosi per chi fatica e lavora” annunciando quindi battaglia di emendamenti sulla legge di bilancio rispetto al reddito di cittadinanza difeso anima e cuore dai 5 Stelle. L’obiettivo è dirottare una parte di quei miliardi al taglio delle tasse”.

Poi il programma di politica estera. “In Europa andiamo avanti per un grande gruppo, identitario, conservatore e di Centrodestra, alternativo ai socialisti con cui il Ppe governa insieme da anni”. La riunione è blindatissima. Alle 21 non è ancora conclusa. Fonti dello staff di Salvini fanno filtrare che “tutti coloro che stanno intervenendo in Consiglio Federale, a partire da Giorgetti, ribadiscono totale fiducia nell’attività, nella visione e nella strategia del segretario Salvini”. Non è adesso e non è ora il tempo del “chiarimento” tra Matteo e Giancarlo. Difficile ipotizzare sintesi per come si sono messe le cose. Fonti parlamentari dicono che i gruppi sono “spaccati”. E che molti condividono le parole di Giorgetti: “Se andiamo avanti così finiamo su un binario morto”.

Qualcosa di più e meglio si potrà capire il 12-13 dicembre quando Salvini intende convocare il congresso del partito “per esprimere l’idea di Italia che vogliamo”. In piena sessione di bilancio, a un mese dal voto per il nuovo Capo dello Stato, è facile immaginare che neppure quella sarà la data giusta del chiarimento. E neppure quello sarà un “Gran Consiglio” di vendette e tradimenti. Meno che mai per sfiduciare il segretario. Se ne riparla, forse, dopo febbraio, dopo l’insediamento del nuovo inquilino del Colle. Intanto la Lega è 17,5% nelle intenzioni di voto. Fratelli d’Italia al 20 per cento.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.