La bomba-Trump esplode a Palazzo Chigi. Rompe un muro che mostra diverse vie d’uscita. Un bivio importante per la stessa collocazione internazionale della maggioranza, e la questione Ucraina è il più urgente dei nodi. E vediamo a occhio nudo chi ha le idee chiare e chi no. «Spero che nessuno si metta di mezzo se Putin e Zelensky, grazie a Trump e insieme a Trump, troveranno un accordo», ha dichiarato Matteo Salvini, mettendo il carro davanti ai buoi: comunque il presidente americano dovrebbe ottenere quel Nobel per la Pace di cui si vagheggia – da quelle parti – già da un po’.

E ancora. «Parole di sacrosanto buonsenso da parte del presidente Trump», ha scritto sui social il segretario della Lega, rilanciando un video in cui The Donald afferma che «l’Europa e altri posti del mondo farebbero meglio a iniziare a occuparsi dell’immigrazione perché sta davvero danneggiando l’Europa in modo molto grave. E farebbero meglio a essere intelligenti e duri prima che sia troppo tardi». E poi ci è ritornato: «Come ribadisce la Lega da anni e secondo i princìpi che ho applicato come ministro dell’Interno (con le conseguenze anche giudiziarie ben note), l’Europa – lenta e in alcuni casi complice – non può più far finta di niente davanti all’emergenza dell’immigrazione clandestina».

Tra Salvini e Meloni è in corso una gara a chi è più trumpiano. La grande stima che il vicepremier rivolge a Trump è nota, e le simpatie del leader del Carroccio segnano uno spartiacque nel centrodestra, dove le posizioni della Lega (pro-Trump), di Tajani (pro-Zelensky) e di Meloni (ferma al bivio) sono ben distinte e separate. Formano un tridente destinato a divaricare le tre destre, come fotografa bene il sondaggio reso noto ieri da Alessandra Ghisleri, che indica come la maggior concentrazione dei sostenitori di Trump nel centrodestra si registri nella Lega con il 63,7%, seguita da Fratelli d’Italia con il 61,8% e dai meno convinti di Forza Italia, con il 49%.

D’altra parte, le ultime dichiarazioni di Salvini – che suonano ancora più decise a fronte del momentaneo silenzio della presidenza del Consiglio – riprendono le bordate tirate lo scorso 8 febbraio dal palco del Marriott di Madrid dove, acclamato dai Patrioti, ha puntato il dito contro la burocrazia europea, contro il Ppe – secondo il vicepremier, ormai troppo socialista – contro l’Oms ma anche contro la Corte Penale Internazionale. Sulla scia del Make Europe Great Again, Salvini sembra credere davvero nell’Europa che ha sempre sognato: un’Europa meno vincolata da una burocrazia pesante e controproduttiva nei confronti delle nazioni che la compongono, e che agognano sempre più a una maggior indipendenza dall’obbligata orbita che impone il complicato sistema solare che gira attorno a Bruxelles.

Mentre il ruolo istituzionale di Meloni le impone un passo ponderato non privo di imbarazzi, ecco che Salvini può andare dritto verso il suo scopo e dirsi più realista del re. Più trumpiano di Trump. E, davanti all’accelerazione della crisi europea, prende la sua rincorsa e attraversa il Rubicone a cuor leggero.

Marianna De Micheli

Autore