L’ultimo caso a Vibo Valentia
Trenta suicidi in cella: insufficienti i fondi per gli psicologi
L’incognita del “dopo” determinerebbe una angoscia difficile da superare. Previsti i Consigli di aiuto sociale per il reinserimento ma Nordio ammette: «Mai attivati»
E siamo a trenta. È al momento senza precedenti nella storia repubblicana il numero dei detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri dall’inizio dell’anno. L’ultimo caso lo scorso fine settimana a Vibo Valentia dove un cittadino straniero è stato trovato impiccato alle sbarre della sua cella. Un triste record che, in assenza di interventi strutturali, pare purtroppo destinato a crescere ancora.
Uno dei motivi di questa escalation è sicuramente la presenza fra i reclusi di tantissime persone affette da problemi psichiatrici. Un elemento che sta trasformando le carceri nei nuovi manicomi. Secondo gli ultimi dati disponibili, circa il 15 percento della popolazione carceraria è affetta da turbe psichiche che rendono incompatibile la loro detenzione. I fondi previsti per gli psicologi e gli psichiatri sono totalmente insufficienti e non permettono, in media e non in tutti gli istituti, più di un’ora a settimana di terapia.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha firmato l’altro giorno un decreto con cui vengono stanziati 5 milioni di euro per il potenziamento dei servizi trattamentali. L’aumento dei fondi non porterà però ad un reale potenziamento dell’assistenza offerta ai detenuti. Lo scorso febbraio erano stati infatti aumentati i compensi orari degli esperti psicologi: se non fosse intervenuto l’adeguamento delle risorse, il servizio sarebbe stato di fatto dimezzato.
Analizzando le statistiche dei suicidi, è emerso che molti di essi avvengano a pochi giorni dalla libertà. L’incognita del “dopo” determinerebbe una angoscia difficile da superare. Sul punto l’ordinamento penitenziario aveva previsto i Consigli di aiuto sociale (Cas), presieduti dal presidente del locale tribunale, e composti da funzionari ministeriali, medici, rappresentanti di categorie professionali, con il compito di facilitare il reinserimento sociale dei detenuti.
Lo stesso Nordio ha comunque ammesso che non sono mai stati attivati. Al loro posto, via Arenula ha stipulato intese con la rete locale, utilizzando la Cassa delle ammende come copertura finanziaria. Sul punto va segnalata una disparità di trattamento tra i detenuti. I programmi per il reinserimento sociale escludono ben nove regioni, fra cui il Lazio.
Il governo meloni sulle carceri non pare disponibile a varare i tanto attesi interventi strutturali: più formazione e lavoro, minore affollamento, trasferimento in strutture dedicate di tutte quelle persone che in galera non avrebbero mai dovuto entrarci, a partire dai tossicodipendenti e dai malati psichiatrici. Nordio, a proposito dei suicidi nelle carceri, ha affermato che si tratta di una ‘questione irrisolvibile’ e ‘malattia da accertare’.
Non proprio una delle migliori giustificazioni che si potessero dare. In tema di riforme, invece, in Commissione Giustizia al Senato è stata presentata ieri una riformulazione dell’emendamento depositato dalla relatrice Erika Stefani (Lega) al disegno di legge relativo alle “intercettazioni tra l’indagato e il proprio difensore e proroga delle operazioni”, a prima firma del forzista Pierantonio Zanettin.
L’emendamento stabilisce che le intercettazioni “non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione”. L’emendamento della relatrice ha ricevuto il parere favorevole del governo. La proposta di modifica verrà votata in una prossima seduta. Le opposizioni hanno chiesto più tempo per valutare il nuovo testo. Con la nuova formulazione non si farebbe alcun riferimento ai procedimenti relativi al terrorismo, un tema che era stato sollevato nelle scorse settimane dal Partito democratico.
Questa mattina, infine, è previsto il voto finale sul sequestro del telefonino. In considerazione dei dati altamente sensibili contenuti, le regole da applicare dovranno essere le stesse delle intercettazioni e la selezione dei contenuti si svolgerà mediante un contraddittorio tra le parti per decidere cosa sia rilevante a fini processuali, anche in relazione alla conservazione dei dati nell’archivio digitale delle intercettazioni.
All’interno dello smartphone sono normalmente contenute le chat attraverso i vari social che consentono di ricostruire, anche a distanza di tempo, le conversazioni intercorse fra il possessore dell’apparato e altri soggetti. Per colmare la lacuna verrà dunque inserito l’articolo 254 ter del codice di procedura penale: “Sequestro di dispositivi e sistemi informatici, smartphone e memorie digitali”. A dare manforte all’iniziativa parlamentare era stata la Cassazione che aveva più volte affermato la illegittimità del sequestro di tali dispositivi per violazione del principio di proporzionalità e adeguatezza in caso di mancata indicazione “di specifiche ragioni a un’indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute”. Piazza Cavour lo scorso anno aveva bocciato il sequestro ‘a strascico’ di tutti i file contenuti su una smartphone di un indagato. Il pm, aveva scritto la Cassazione, deve procedere alla sua immediata restituzione dopo aver proceduto alla ricerca di quanto d’interesse.
© Riproduzione riservata