La Corte del Colorado ha riesumato contro Trump una legge dei tempi della guerra civile che vietava la candidatura di chiunque fosse insorto con i Confederati sudisti contro l’Unione. Trump è stato anche accusato di “hitlerismo” per aver parlato degli emigranti come persone spesso malate o infette da parassiti, usando un argomento simile – dice la Corte – a quello del “Mein Kampf” di Hitler, che accusava gli ebrei di “infettare il sangue tedesco”. “Non ho mai letto ‘Mein Kampf’ e non ho idea di che cosa dicesse Hitler”, ha replicato Trump, ma intanto il candidato repubblicano è marchiato per ora come non idoneo a candidarsi Presidente degli Stati Uniti (almeno nel Colorado) con l’accusa di aver complottato contro lo Stato federale nel gennaio del 2020, e di aver sediziosamente sostenuto i dimostranti che davano l’assalto a Capitol Hill, il Parlamento, con morti, feriti, arresti, processi e condanne.

Il risultato capovolto col voto per posta

Donald Trump nega di aver organizzato quelle sommosse anche se parlò ai rivoltosi con toni amichevoli. I repubblicani sostennero che il risultato del voto del 20 novembre era stato capovolto attraverso un programmato uso massiccio di voti recapitati per posta. Il voto per posta esiste da sempre ed è una modalità usata per far votare i residenti all’estero, i militari in missione e i malati inamovibili. Improvvisamente diventò in molti Stati la modalità prevalente anche per gli elettori che in genere vanno di persona alle urne. Effettivamente, dopo la chiusura dei seggi arrivarono colonne di camion pieni di voti raccolti nelle campagne da solerti funzionari democratici, pieni soltanto di voti democratici che ribaltarono in molti casi il voto già espresso e conteggiato. Il braccio di ferro sui voti postali era cominciato quando i governatori democratici avevano chiesto fondi federali per ricostruire gli Uffici postali abbandonati dopo Internet: a quelle richieste Trump si era opposto, sospettando che la richiesta nascondesse una raccolta di voti di dubbia autenticità ottenuti con la firma su un modulo e che quei voti avrebbero snaturato le proporzioni delle schede votate in presenza alle urne. Il sospetto, sostenuto dalle rabbiose parole di Trump, divampò nella rivolta del 6 gennaio con l’invasione del Parlamento.

La decisione davanti alla Corte Suprema

Ora la decisione sulla eleggibilità di Trump deve essere portata davanti alla Corte Suprema chiamata ad emettere una sentenza valida per tutti gli States. Nella Corte Suprema la maggioranza è repubblicana e tre dei suoi componenti sono stati nominati proprio da Trump. È improbabile che il suo verdetto concorderà con quello del Colorado, ma intanto una ulteriore ferita è stata inflitta alla sacrale fiducia dell’elettorato nell’uso delle regole con cui si elegge l’uomo (o la donna) della “Casa Bianca” nella certezza che tutto si svolga in modo equo e indipendente.

L’accusa di hitlerismo e i problemi col Messico

Quanto all’accusa di “hitlerismo” nella motivazione del Colorado si basa sulle dichiarazioni di Trump secondo cui l’ingresso a valanga degli immigrati che dal Centro America arrivano negli Usa attraverso la frontiera messicana nei tratti in cui non è ancora sbarrata dai muri eretti da Clinton, Obama, Trump e Biden, permette l’ingresso di malati contagiosi o infetti da parassiti, sia dei corrieri di cocaina, marijuana, metamfetamine, eroina e di fentanyl, un pericolosissimo oppioide sintetizzato con componenti cinesi che durante l’incontro a San Francisco tra i Presidenti Biden e il cinese Xi Jinping, sono stati inclusi nella lista delle sostanze che la Cina si impegna a non esportare più in Messico. Trump ha sempre parlato di “veleni provenienti dal Messico” come l’insieme delle minacce tossiche e patologiche che danneggiano i cittadini americani. Ma la Corte del Colorado ha preferito farne un mazzo unico per produrre un effettaccio “hitleriano” che accorpa patologie, droghe e sospetti di razzismo. La parola va ora alla Corte Suprema che difficilmente darà ragione al Colorado, a meno che anche in quel Sancta Sanctorum di pesi e contrappesi non siano saltati gli equilibri che tengono insieme la democrazia americana.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.