Tunisi si presenta sotto una pioggerellina fitta che trasforma i vicoli della città in tanti rigagnoli maleodoranti. La bianca città distesa fra le lagune salate ed il Mar Mediterraneo è un dedalo di strade basso ed intricato che ha concesso alla modernità soltanto alcuni quartieri dove svettano palazzi ipermoderni, mentre la vicina Cartagine mostra al mondo le antiche vestigia puniche che si fondono ai resti di epoca romana. Centro del potere politico e finanziario della Tunisia, nella capitale brulica la vita di un popolo giovane e laborioso. Qui l’Italia ha lanciato un anno fa una della partnership più importanti del Piano Mattei per l’Africa, un progetto che prevede il coinvolgimento anche di Algeria, Marocco, Egitto, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Mozambico e Kenya.

Le sirene cinesi che non hanno funzionato

Nel paese affacciato sulle rive del Mediterraneo la cooperazione italo-tunisina partiva da basi solide costruite negli anni e portate avanti dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) che da qui dirige anche Libia, Algeria e Marocco. Il Piano Mattei ha valorizzato e finanziato, con un lavoro diplomatico e politico raffinato, il lavoro sul campo ottimizzando le risorse. Il presidente tunisino Kais Saied, dopo la svolta autoritaria, ha sempre deciso tutto in prima persona, facendo pesare i rapporti personali e la fiducia costruita nel tempo. Diffidente di turchi e francesi, ha guardato convintamente all’Italia, senza farsi incantare dalle sirene cinesi che volevano coinvolgere la Tunisia nel grande progetto della Via della Seta che comprende una lunga serie di stati africani. Concretamente l’estate scorsa Saied ha rimosso il riottoso ministro degli Esteri Nabil Ammar, troppo vicino alle posizioni di Pechino ed avverso all’Europa, sostituendolo con Mohamed Ali Nafti, un moderato che guarda soprattutto all’Italia come principale partner.

Il programma Tanit faro del Piano Mattei

La presenza italiana è storica e conta quasi mille imprese attive sul territorio con la capitale che si riempie di uomini d’affari italiani e tunisini che lavorano fianco a fianco. Nell’ambizioso progetto presentato esattamente un anno fa l’attenzione maggiore viene data all’agricoltura che rappresenta il 18% del Pil nazionale. Il programma Tanit, così chiamato in omaggio ad una divinità punica, è il progetto faro del Piano Mattei ed è basato su tre pilastri: la formazione, il recupero delle acque e la modernizzazione del comparto agricolo. Stefano Carbonara guida Tanit e ci accompagna ad una sessantina di chilometri dalla capitale dove lungo il cammino incontriamo ciò che resta di un acquedotto romano. La regione è quella di Zaghouan, un governatorato della Tunisia centrale, che rischiava di essere abbandonata perché la desertificazione l’aveva ridotta ad una landa arida ed improduttiva. Ma oggi 12emila ettari di terreno hanno ripreso vita grazie all’utilizzo ed al recupero delle acque reflue. Qui vengono coltivati soprattutto cereali, alimento base della dieta tunisina, ma ci sono anche campi di carciofi, pomodori ed oliveti. La mancanza di acqua è sempre stato uno dei maggiori problemi, ma il programma Tanit, finanziato dal Ministero degli Esteri e dal Fondo per il Clima, lo ha messo in cima alla lista delle opere.

L’obiettivo è quello del recupero delle acque reflue, o acque di scarico, che sono utilizzate nelle attività domestiche, industriali e agricole che non possono essere riversate direttamente nell’ambiente, ma hanno bisogno di essere depurate per il loro riutilizzo. Come tutti i paesi del Maghreb, la Tunisia non raggiunge l’autosufficienza alimentare e questo costringe il governo ad acquistare dall’estero. L’obiettivo è superare la dipendenza dalle importazioni di prodotti agricoli, troppo costosa e dipendente dalle oscillazioni del mercato, come è capitato più volte durante la guerra in Ucraina. L’aumento della produttività e dei posti di lavoro punta ad abbattere l’alta percentuale di disoccupazione che fra i giovani tocca il 36% del totale. Anche l’artigianato, settore che rappresenta il 5% del Pil e da lavoro a quasi 400mila persone, è stato oggetto di investimenti con l’apertura di un polo di design che forma e promuove i giovani artigiani locali.

L’asse con l’Italia tra artigianato ed energia

L’idea, sostenuta da un paio di milioni di euro, vede la collaborazione di professionisti italiani in qualità di docenti con la possibilità di pubblicare un catalogo di prodotti e commercializzarli anche all’estero. “Investire nell’artigianato rafforza il tessuto della società tunisina che vede nel settore soprattutto donne e famiglie – spiega Mohamed Rammeh, responsabile del polo artigianale di Denden- restando uniti e nella propria città si evita di andare a cercare lavoro nella capitale, ingolfando la sua economia”. Nel rapporto italo-tunisino spicca anche la collaborazione sull’energia che ha visto in Elmed, l’opera più importante che creerà un autentico ponte energetico fra Africa ed Europa. Il grande elettrodotto sottomarino porterà 600 Megawatt in Sicilia grazie a cavi di 220 chilometri di lunghezza e posizionati ad una profondità di 800 metri.

Terna, ad un anno dalla partenze del Piano Mattei, ha lanciato l’apertura di un hub innovativo dedicato alla transizione energetica che formerà gli studenti tunisini sulle nuove possibilità digitali integrandosi proprio con Elmed. “Quello che stiamo realizzando in collaborazione con l’Italia è come un figlio partorito dai due paesi- racconta il ministro degli Esteri Mohamed Ali Nafti- altri paesi sono arrivati qui per importare le loro idee, mentre l’Italia ha condiviso tutto con noi dimostrando rispetto per il nostro pensiero e comprendendo le nostre necessità. Questa cooperazione andrà avanti e produrrà risultati per entrambe le nazioni”.

Nella cuore della Medina, la parte più antica di Tunisi, svetta un campanile di una chiesa cattolica, l’unico ancora in piedi in una città del Maghreb. Se Santa Croce esiste ancora, ancorchè sconsacrata, lo si deve all’intervento italiano che ha investito un milione e settecentomila euro. Il complesso religioso, che si sviluppa con la chiesa ed il battistero, è diventato una galleria d’arte per gli espositori della Medina ed un punto di incontro per l’intero quartiere. Strappato all’occupazione di alcune famiglie, questo gioiello architettonico è stato riaperto al pubblico in collaborazione con la Municipalità di Tunisi. Nel 2025 il Piano Mattei coinvolgerà altre 5 nazioni come Mauritania, Ghana, Tanzania, Senegal ed Angola per il determinante corridoio di Lobito, rilanciando la modalità di lavoro italiana che sta avendo successo e che ha già attirato investimenti privati, mentre Gran Bretagna ed alcuni Paesi del Golfo si sono detti interessati a partecipare. La Tunisia nel 2023 voleva aderire al gruppo dei Brics, l’alleanza economico-politica di Cina, Russia, India, Brasile e Sud Africa, mentre oggi guarda all’Europa e soprattutto all’Italia come principale partner, un grande risultato nella partita che si gioca sullo scacchiere africano

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi