Letture
Dries - I giorni del pensiero cagnolino
Un cagnolino può cambiare la vita (specie se è brutta), il delizioso libro di Vittorio Zambardino

Vittorio Zambardino ha scritto questo delizioso libro, “Dries – I giorni del pensiero cagnolino” (Luca Sossella edizioni), che è un atto d’amore per il suo cane, Dries appunto, ma diremmo per il Cane con la “c” maiuscola in quanto tale: e per estensione, per la natura, cioè per la vita. Una frase che dice tutto: «Vi chiedo solo: perché quando parlate di un cane non vi si incrina la voce per la commozione?». Bellissimo.
Nell’immaginario corpo a corpo con gli “altri”, l’autore smonta tutta una serie di luoghi comuni, sui cani ma in generale su tante cose della vita. Questo è un libro di un uomo che ha vissuto. Che non nasconde le sue ferite: sotto le parole si avverte l’inquietudine, la nostalgia, come un senso di controllata paura. «Non sospettavo che tenerti con me avrebbe comportato l’accettazione di cicatrici e ferite che erano state messe a tacere e mi pesa dover ammettere che di te, di una presenza come la tua, avevo bisogno nella mia vita». La vita, già, è l’oggetto di questa che si potrebbe definire una meditazione “sugli anni e sull’età”, avrebbe detto Francesco Guccini; una meditazione certo non magniloquente o pomposa, ma leggera pur nel suo notevole spessore.
Zambardino, valentissimo giornalista negli anni in cui Repubblica, proprio con lui, apriva il sito, vive a Roma, quadrante Sud, quell’ampia zona già “pasoliniana” e oggi diventata un’altra cosa, «un posto dove gli “italiani” sono una minoranza di umore sempre più marcio, incattivito e nero. Pronti alla delazione». Qui, tra bellezze e bruttezze, l’autore porta l’inseparabile Dries in giro, in questo vecchio-nuovo quartiere «di hipster nervosi, di studenti calabresi e lucani che affittano camere non riscaldate e vanno a studiare nella biblioteca di quartiere, e di una moltitudine impressionante di comunità di immigrati». Un mondo strano, sfrangiato, di non facile comprensione. Il cane, esattamente come l’uomo che lo porta in giro rigorosamente senza guinzaglio, sembra lottare anche lui per andare avanti in questa selva metropolitana.
«So che il cane è uno sguardo nell’esistenza, i “tuoi” occhi mi guardano attraverso. Sei un compagno nel buio, in tua compagnia anche l’idea che tutto possa finire domani, per me, è meno terribile. Che possa finire per te non riesco nemmeno a pensarlo». Questo “signore col cagnolino”, parafrasando Čechov, ci lascia un sapore triste, ma è la vita.
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