L'intervista
Unione Europea e Intelligenza Artificiale, Mario Furore boccia il piano InvestAI: “Fondi inferiori rispetto a Cina e USA. Servono Eurobond”

Il summit di Parigi sull’Intelligenza Artificiale ha sancito l’ingresso dell’Unione europea nell’agone della competizione internazionale per lo sviluppo di quello che, a tutti gli effetti, è il fuoco di Prometeo dei nostri giorni. Abbiamo dialogato insieme all’europarlamentare Mario Furore (The Left-M5S) in merito alla direzione intrapresa dalla Commissione von der Leyen in seguito al lancio di InvestAI.
Onorevole, il discorso di von der Leyen ha sancito l’ingresso dell’Unione europea nella corsa allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale. Ritiene che, come sostenuto anche dal presidente Macron, InvestAI con una dote di 200 miliardi di euro possa, effettivamente, essere la terza via per sfidare Stati Uniti e Cina in questa rivoluzione tecnologica?
«Ho i miei dubbi. Innanzitutto Ursula von der Leyen si comporta come apprendista stregone. InvestAI riprende i princìpi di creatività fiscale già sperimentati dal Piano Juncker del 2014, che attraverso la Bei metteva in campo 21 miliardi promettendo di mobilitarne 315. Non è vero dunque che vengono mobilitati 200 miliardi, ma appena 20 di fondi reali, un ammontare di gran lunga inferiore rispetto agli altri giganti del settore. Gli Usa investono 500 miliardi con il progetto Stargate, la Cina va spedita come un treno mobilitando ingenti risorse pubbliche, la Ue non può guardare indietro. Servono subito Eurobond destinati a investimenti produttivi e un aumento del bilancio europeo dall’1 al 5% del PIL Ue per arrivare ad almeno 800 miliardi l’anno».
Il summit di Parigi ha ribadito la volontà europea di percorrere una strada differente nella ricerca e nello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, una via che persegue un modello di IA che sia etico, trasparente e inclusivo. Ritiene che, anche alla luce della decisione di Washington e di Londra di non sottoscrivere la dichiarazione finale, possano esserci rischi distopici?
«Musk vuole il laissez-faire perché lui ci guadagna un sacco di soldi, ma per noi non può essere accettabile un modello in cui si usano tecniche manipolative nei confronti delle persone; sfruttano categorie di soggetti considerati vulnerabili o si classificano le persone in base al comportamento sociale o alle caratteristiche personali. Diciamo no anche al database di riconoscimento facciale. La privacy e i diritti delle persone vanno salvaguardati, mentre qualcun altro vorrebbe schedare i cittadini per poi rivendere i dati a terzi. Questo modello non ci interessa. Anzi, lo contrastiamo con forza».
Sulla necessità di investire unitariamente sullo sviluppo di modelli europei di IA è intervenuto al Parlamento europeo il presidente Draghi. L’ex primo ministro italiano ha sostenuto che è finito il tempo dei no ed è giunto il momento di accelerare tutti insieme. Lei concorda sulla direzione indicata da Draghi?
«Draghi ha ragione sui troppi no e sugli egoismi degli Stati membri, ma sbaglia quando traccia la direzione che non può essere quella dell’escalation militare contro la Russia. Serve più Europa, è vero, ma per difendere l’industria dell’automobile europea che è stata lasciata sola a fronteggiare la transizione della mobilità sostenibile, per esempio. Rischiamo di perdere centinaia di migliaia di posti di lavoro. L’emergenza è economica, non militare. Tra l’altro, con una Difesa europea ottimizzeremmo le risorse risparmiando, non spendendo di più».
A proposito di opportunità legate all’Intelligenza Artificiale e alle sue implicazioni al servizio dell’uomo, il 18 febbraio scorso ha partecipato all’evento “Abitare, conoscere e regolamentare le nuove frontiere del mondo del lavoro”, promosso dalla Fondazione Rubes Triva. Quali sono, secondo lei, le opportunità insite nell’utilizzo di questi strumenti a servizio dei lavoratori?
«I vantaggi sono molteplici. Innanzitutto possono essere utilizzati per migliorare la salute e la sicurezza sul lavoro, monitorando le condizioni ambientali e il comportamento dei lavoratori per prevenire incidenti e promuovere pratiche di lavoro sicure. Anche per quanto riguarda la formazione possono essere utilizzati. E non dimentichiamo anche la produttività delle imprese: l’IA può automatizzare attività routinarie e ripetitive, liberando i lavoratori da mansioni noiose e consentendo loro di concentrarsi su compiti più creativi e strategici».
E i rischi?
«Sono molteplici. Pensiamo a un’auto con guida automatica. Nel momento in cui si verifica un incidente, la responsabilità a chi appartiene? Al proprietario dell’auto o al costruttore che ha installato il sistema che non ha evitato l’incidente? Al Parlamento europeo abbiamo approvato una direttiva che definisce bene le azioni di responsabilità per danni causati da prodotti o servizi basati sull’IA. Inoltre c’è un problema di trasparenza. Qualora una persona fisica interagisca con questa tipologia di IA, è stabilito l’obbligo di informare chi è interessato della natura artificiale del sistema e dei contenuti generati dallo stesso».
In chiusura, ci troviamo in un’era di trasformazione digitale che non sempre è compresa dalla società e spesso è vista con occhi critici. Insistere sulla formazione continua dei lavoratori, affinché quel che potrebbe essere visto come una minaccia possa tramutarsi in una risorsa, è senz’altro un tema fondamentale. Soprattutto se si tratta di sicurezza nei luoghi di lavoro. Secondo lei stiamo facendo abbastanza in Europa e in Italia per agevolare l’utilizzo di questi strumenti e la contestuale formazione dei lavoratori?
«Dal 2 febbraio 2025, l’AI Act dell’Unione europea ha reso obbligatoria la formazione sull’IA per tutti i dipendenti, indipendentemente dal livello di rischio del sistema adottato. Questo passo è cruciale per garantire che i lavoratori comprendano i princìpi fondamentali dell’IA, siano consapevoli dei rischi e delle opportunità e siano in grado di valutare criticamente gli strumenti IA che utilizzano. Tuttavia c’è ancora molto da fare per garantire che queste iniziative siano implementate in modo efficace e che le aziende adottino programmi di formazione personalizzati per i loro dipendenti. La collaborazione tra governo, aziende e istituti di formazione sarà fondamentale per raggiungere questi obiettivi».
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