Scuola
Valditara toglie l’asterisco e si rifugia dietro la Crusca. Ora si attivi per le vere esigenze: serve formazione per i docenti

Addio ad asterisco e schwa: l’uso di segni grafici non conformi viene bandito dalle comunicazioni ufficiali, per evitare il contrasto con le norme linguistiche e che vengano compromesse “la chiarezza e l’uniformità della comunicazione istituzionale”. In una nota il ministero dell’Istruzione fa riferimento all’Accademia della Crusca: “Ha più volte evidenziato che tali pratiche non sono grammaticalmente corrette e che il loro impiego, specialmente nei documenti ufficiali, ostacola la leggibilità e l’accessibilità dei testi”. Insomma, l’uso arbitrario di questi simboli “introduce elementi di ambiguità e disomogeneità, rendendo la comunicazione meno comprensibile e meno efficace”.
Le linee di indirizzo didattico
Al di là dell’intervento sui segni grafici, c’è un altro tema che non può essere dimenticato quando si parla di scuola. A 50 anni dai decreti delegati e a 25 dall’autonomia scolastica, la Commissione incaricata di redigere linee di indirizzo didattico per il primo ciclo di istruzione presenta al ministro la bozza delle proposte, che saranno socializzate per un più ampio dibattito che coinvolga le scuole e la società civile. Non si tratta di veri e propri programmi prescrittivi formalizzati con un provvedimento legislativo, come finora è stato per ogni ordine e grado del nostro sistema scolastico. Si presume infatti che il testo definitivo sarà licenziato come “decreto ministeriale”: inutile sottolineare come anche la veste normativa avrà la sua importanza. Non si tratta, peraltro, di un provvedimento autoritativo del ministro, poiché anche i sistemi scolastici anglosassoni muovono da tempo dal decentramento dei programmi verso un “common core” (un curricolo comune) senza essere tacciati di nazionalismo.
Il meglio della tradizione
Ciò premesso, è utile partire da un presupposto che lo stesso Valditara considera esplicativo e dirimente per descriverne il basilare proposito: “Prendere il meglio della nostra tradizione per costruire il futuro”. È di questi giorni la notizia secondo cui – ancora una volta – l’Università La Sapienza è giudicata la migliore del mondo, quanto a studi classici (dove “classico” sta per ermeneutica della civiltà): partire dalla base del sistema scolastico per consolidare questo primato non è una forzatura, ma un atto di coerenza pedagogica. È ricorrente nel testo delle “indicazioni”, infatti, il recupero della tradizione culturale e formativa della nostra scuola, da tempo annacquata da innovazioni senza fondamento e costrutto che l’hanno ridotta a un progettificio effimero e transeunte, dove si privilegia l’apparenza e si tralascia la sostanza. Un “copia e incolla” di frasi fatte e sillogismi didattici che non si approfondiscono, dove i corollari prevalgono sui contenuti e le riunioni pletoriche e ripetitive impegnano gli insegnanti in modo estenuante e improduttivo, sottraendoli alla classe e al rapporto diretto con gli alunni.
Lontani dalla classe come astronave di assorti
Ci stiamo sempre più allontanando dalla metafora con cui il pedagogista Luigi Lombardi Vallauri descriveva la classe come “astronave di assorti”: un luogo dove insegnanti e allievi sono idealmente uniti nell’impegno dello studio e della meditazione per liberare il pensiero e la fantasia in quanto spunto di trascendenza dalle cose. Per fare questo bisogna riconsegnare – simbolicamente – ai docenti le chiavi di accesso alle aule, ai libri, al sapere, alla conoscenza da stimolare e trasmettere – insieme a questo – il “gusto” di farlo. Restituendo loro l’immedesimazione in un compito professionale (che è anche funzione sociale) che è andato spegnendosi in una deriva di omologazione culturale.
La formazione dei docenti
La formazione iniziale e in itinere dei docenti è fondamentale per consolidare metodologie didattiche coerenti con le finalità educative che il sistema scolastico deve realizzare: il diritto allo studio; l’uguaglianza delle opportunità; la personalizzazione dei percorsi di apprendimento (ne trattava già la legge 517/1977); un’istruzione solida che attinga alle radici culturali tramandate ma sia aperta a una ragionata innovazione; la valorizzazione del merito che si esprime attraverso l’ottimizzazione delle potenzialità di ciascun alunno; la libertà di insegnamento costituzionalmente garantita, per una scuola inclusiva e aperta a tutti. Scorrendo la piattaforma “Scuola futura” del ministero, tuttavia, si nota che – nella quasi totalità dei corsi di formazione dei docenti previsti dal Pnrr – i modelli della cultura anglosassone risultano prevalenti rispetto alla tradizione del nostro sistema scolastico, in linguaggi, metodi e contenuti: persino la lingua italiana è espunta dai contenuti di quel piano formativo. Per stabilire la necessaria coerenza tra le linee guida e la formazione dei docenti che saranno chiamati a realizzarle, sarà dunque necessaria una revisione della piattaforma ministeriale: dalla bozza consegnata al ministro non risulta che la Commissione abbia palesato questo nesso, che sembra invece propedeutico ed essenziale al buon esito delle “nuove indicazioni didattiche”.
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