Il confronto tra Bibbia e Instagram
Con Valditara riemerge il conservatorismo in una scuola travolta dallo tsunami-tech

Che Giuseppe Valditara non sia stato messo al rogo, dopotutto, è un segno dei tempi. Certo, le reazioni critiche alla sua nuova scuola non sono mancate. È un “piccolo mondo antico”, ha deplorato la sinistra. “Idee reazionarie”, dicono le associazioni studentesche. E i pentastellati, buttandola sul ridicolo: “A quando il ritorno alla tv in bianco e nero?”. Reazioni, in fondo, misurate. Perché quello di Valditara è un clamoroso cambio di paradigma. Una svolta esplicitamente conservatrice, avanzata da chi non ritiene il conservatorismo un disvalore. E forse è troppo facile parlare di nostalgie passatiste, ritenere anacronistico un revival umanistico nel bel mezzo dello tsunami scientifico-tecnologico, stupirsi di un recupero storico dell’Occidente mentre la globalizzazione sembra “provincializzare” proprio l’Occidente. Forse può apparire ingenuo tornare alla “fatica mnemonica”, se qualunque ragazzino ha modo di accedere alle informazioni sterminate di ChatGPT.
Eppure è qui il cuore della proposta. É l’idea che un percorso di apprendimento umanistico, nazionale, occidentale possa intrecciarsi col mondo contemporaneo. Che abbia modo di coesistere con il progresso. Che sia in grado di governare la modernità e non soltanto subirla. Che dia agli studenti italiani uno specifico atout per meglio comprendere il mondo attuale. E certo è di buon auspicio che la riforma non abbia suscitato (finora) risposte furibonde e che sia stata salutata con favore da personalità di rilievo come Andrea Giardina. A conferma che forse, anche nel nostro Paese, un approccio conservatore non è più una bestemmia. Che forse il Paese è meno ideologico di quanto non sia stato per decenni. Ma proprio perché se ne può parlare, è il caso di aggiungere che sono molti i temi di discussione. Anche da una prospettiva riformista. E riguardano il contesto al quale sono destinate le proposte di Valditara.
La fabbrica dell’ignoranza
Ovvero la scuola com’è oggi e gli studenti come sono oggi. C’è da chiedersi cioè fino a che punto quella che il Censis ha chiamato impietosamente “la fabbrica dell’ignoranza” possa recepire una simile svolta. Fino a che punto esista un corpo docente che abbia la preparazione – ma anche la libertà ideale, se non ideologica – per trasmettere ai propri allievi quei contenuti e quelle metodiche. E chi conosca i problemi della formazione universitaria – e cioè i limiti formativi degli attuali insegnanti – non può che avere molti dubbi. Dal ministero vengono rassicurazioni. Si sta lavorando anche a una riforma delle superiori e dell’università, dicono. Ma naturalmente il percorso sarà lungo. E però, nel frattempo, la svolta di Valditara rischia di essere il classico cane che si morde la coda. E poi c’è un’altra considerazione da fare, forse quella decisiva.
Il confronto tra Bibbia e Instagram
Perché, dopotutto, sarà la generazione Z (anzi, la Generazione Alpha) a sperimentare il cambio di paradigma, a dover fare i conti con un approccio pedagogico fortemente eccentrico rispetto al mondo reale – e ancor più virtuale – vissuto quotidianamente da quei nati ieri. Sarà un confronto tra la Bibbia e Instagram, tra la storia d’Europa e il fantasy di Netflix, tra il bell’italiano e la lingua gergale dei social. Possibile tenere assieme due mondi? Forse sì, forse bisogna provarci. In fondo, anche in altri e remoti tempi, la scuola non era semplicemente un’appendice della propria quotidianità familiare e amicale. Era spesso un immergersi in realtà ignote, sperimentarsi con altre logiche conoscitive, avvicinarsi faticosamente a contesti, fatti, nozioni, personalità che si ignoravano.
Era insomma uno sforzo talvolta grande, una disponibilità talvolta imposta ad apprendere. Ed era infine il piacere della scoperta. Sarà possibile immergere i giovanissimi nella cultura occidentale? Convincerli che non si tratta di una costrizione bizzarra, rispetto alla libertà (apparente) di Facebook o di TikTok? Negli Stati Uniti e nel nord Europa stanno mettendo paletti alla dipendenza digitale giovanile, promuovono con imprevedibile successo circoli di lettura, danno agli scolari delle primarie carta e penna (e l’iphone nell’armadietto). In Italia si vedrà. Ma attenzione a prendere per reazionari quelli che cercano di rimettere in piedi una scuola gravemente in crisi.
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