Riassunto delle puntate precedenti: ma ci possiamo fidare di un vaccino che è stato prodotto in pochi mesi, invece che in diversi anni come in passato? Be’, con i quattrini che sono investiti da tutte le industrie nel più grande affare farmaceutico della storia, non è poi così sorprendente. E inoltre… Signore e Signori, benvenuti nel terzo millennio!

La scienza procede insensibilmente (e spesso non senza difficoltà), passo dopo passo, scoperta dopo scoperta, mentre noi siamo occupati in altro. Forse a ottobre l’uscita di qualche concorrente dalla casa del Grande Fratello ha legittimamente ricevuto lo spazio che meritava, oscurando però la notizia del premio Nobel per la chimica. Tuttavia, per rispondere alle domande che ci stiamo facendo sul vaccino, può essere utile ricordare il motivo dell’assegnazione del premio Nobel di quest’anno.

Il codice genetico, il Dna, è come una cerniera lampo, con dentini di quattro possibili colori. Le istruzioni per costruire qualunque essere vivente sono contenute in questa sequenza di colori dei dentini, allo stesso modo in cui qualunque messaggio può essere cifrato attraverso l’alfabeto Morse (con la differenza che, nel Morse, si usano due simboli anziché quattro: punto e linea).
Il premio Nobel è stato conferito per la scoperta di una tecnologia che consente di individuare la porzione di Dna che si intende modificare, per poi intervenire -tagliandolo e ricucendolo- quasi a proprio piacere. Strumenti di questo tipo hanno permesso di ottenere un vaccino innovativo. Vediamo in che modo e quali vantaggi comporta.

In passato, per stimolare la reazione del sistema immunitario, e indurlo a produrre anticorpi per contrastare l’agente patogeno, si immettevano agenti simili a quello da cui ci si voleva proteggere, (come nel caso del vaiolo discusso nell’articolo di ieri), oppure l’agente stesso, ma attenuato, debilitato o inattivato. O, ancora, dei suoi brandelli.

Stavolta invece, siccome l’arma del Coronavirus sono le spine, le “spikes”, con cui riesce a introdursi nelle cellule, è contro le spikes che bisogna agire. E allora la trovata dei tecnici della Pfizer è consistita nel sintetizzare una sostanza (filamenti di Rna) che, una volta immessa nell’organismo, stimola le nostre stesse cellule a generare le spikes. Queste spikes “endogene”, solleciteranno a loro volta la formazione di anticorpi, così come avrebbero fatto se fossero state inoculate dall’esterno. Quindi niente più inserimento di virus, interi o a frammenti, ma solo un codice a barre, il filamento di Rna, che insegna alle cellule come autoprodurre la parte del virus responsabile dell’infezione. A questo punto, entra in gioco il sistema immunitario, che avendo imparato a riconoscere le spikes, le identificherà e disattiverà anche quando queste dovessero far parte di un Coronavirus in carne e ossa, che… abbiamo appena respirato!

Ok, tutto bene, ma sarà efficace anche contro la nuova variante inglese?
La variante inglese è un virus che presenta delle mutazioni nelle spikes. Un’altra variante è stata identificata in Sudafrica. Le mutazioni non sono l’eccezione, sono la regola. Il meccanismo di riproduzione è intrinsecamente imperfetto e, a ogni generazione, si verificano piccoli errori che rendono gli individui un po’ diversi dai loro progenitori. Quindi la “variante” è solo un ceppo in cui le mutazioni accumulate nel corso delle generazioni sono in numero sufficiente da consentire di distinguerla dal virus originario e da conferirgli qualche caratteristica diversa.
A quanto risulta dai primi studi preliminari, la variante inglese non è così distante dal Coronavirus originario da permetterle di sottrarsi al vaccino. In altre parole, gli anticorpi che disattivano le spikes del Coronavirus primitivo, sembra che inibiscano anche quelle della variante e quindi un unico vaccino dovrebbe essere sufficiente.

Tuttavia, la tecnica di vaccinazione con filamenti di Rna è molto più versatile di quelle tradizionali e consente una rapida modifica dei filamenti per immunizzare anche contro varianti del Coronavirus resistenti al vaccino del Coronavirus originale.

Per capire come mai possiamo essere fiduciosi (e possiamo esserlo!) pensiamo ai computer. I primi computer non erano macchine molto sofisticate e la loro architettura interna variava a seconda dello scopo cui il computer era destinato. Il computer di controllo di un certo apparecchio scientifico era diverso dal computer di controllo di un altro apparecchio, nel senso che aveva circuiti elettronici di tipo differente e organizzati secondo una diversa logica.

In seguito, l’evoluzione dei computer condusse a una macchina “universale”. Al giorno d’oggi, il mio computer, oltre che per scrivere articoli per il Riformista, potrebbe anche essere usato per eseguire la diagnosi sul funzionamento di un’automobile, per controllare il sistema di irrigazione delle piante in giardino, per creare un video con le foto scattate durante queste vacanze, per registrare i canti di Natale. La struttura del computer è sempre la stessa, in gergo si chiama “hardware”, quello che cambia sono i programmi che si fanno “girare”, a cui ci si riferisce complessivamente con il termine “sofware”. Cambiare l’hardware è complicato, bisogna costruire fisicamente un altro computer, o almeno i suoi componenti interni, e assemblarli nel modo richiesto. Ci vuole un’industria elettronica, macchine per stampare circuiti e realizzare dispositivi, un’organizzazione sofisticata e capillare. Cambiare il software è enormemente più facile, spesso basta una sola persona esperta, un programmatore. L’ho fatto io stesso in passato, quando mi serviva un software che non esisteva in commercio, e lo fanno quotidianamente i programmatori di tutte le software house, le ditte che producono programmi per computer. Esiste in commercio solo qualche centinaio di modelli di computer, mentre i software disponibili sul mercato sono centinaia di migliaia. La flessibilità del software, come suggerisce il termine (prodotto leggero), è enormemente superiore a quella dell’hardware (prodotto pesante).

Il passaggio dal vaccino tradizionale a quello basato su filamenti di Rna è analogo al passaggio dalla costruzione di un nuovo hardware, alla programmazione di un nuovo software.

L’Rna è un codice, simile al Dna, e quindi ha caratteristiche che ricordano i codici software. Se mai il vaccino attuale della Pfizer si dimostrasse poco efficace nei confronti della variante inglese, si modificherà il filamento di Rna affinché faccia produrre alle nostre cellule le spine della variante inglese, invece che quelle del Coronavirus originario… Naturalmente non sarà facile come modificare il programma di un computer, ma sarà comunque infinitamente più semplice che fare un vaccino ex novo, come sarebbe stato necessario usando le tecniche di vaccinazione tradizionali.

Un’ultima questione. Ci potranno essere effetti indesiderati di lungo periodo?

Il colpo di coda del vaccino è uno degli interrogativi che la gente si pone, a volte alimentato ad arte da chi vuole insinuare il dubbio, o semplicemente da chi parla a sproposito di argomenti che conosce superficialmente. Si sente perfino dire che questo nuovo vaccino potrebbe modificare in modo permanente il nostro Dna, provocando mutazioni oncogene, trasformando le nostre cellule in piccoli mostri di Frankenstein. Più di quanto la fervida immaginazione di Mary Shelley possa mai aver concepito.

Come sa chi legge i miei articoli, o segue le mie rubriche televisive, io sono il primo a invocare il principio di precauzione in tutti i casi in cui nuove tecnologie potrebbero rivelarsi dannose. I guasti che si sono procurati agli individui e all’ambiente per l’applicazione improvvida e frettolosa di tecnologie non sufficientemente collaudate sono innumerevoli, ma… “Caro amico, bisogna far delle differenze in ogni cosa” (Guglielmo, Così fan tutte, L. Da ponte). Chi sa di chimica biologica molecolare non confonde Dna e Rna, nonostante le loro analogie. Il Dna è una molecola stabile e duratura, mentre l’Rna si decompone rapidamente. Esistono reperti di Dna di dinosauri, mentre il compito dell’Rna è di assolvere la propria funzione e dissolversi. L’Rna iniettato tramite il vaccino farà quanto dovuto e sparirà. Certamente bisognerà vigilare che, passando dal campione dei volontari alla popolazione generale, non si verifichi qualche raro caso non ancora rilevato. Si prenderanno tutte le precauzioni, escludendo categorie di pazienti che manifestino risposte allergiche o intolleranze specifiche e tutto quello previsto dai protocolli sanitari per prevenire le reazioni avverse. Ma poi, per il bene di tutti, andiamo a porgere il braccio all’infermiere con un sorriso. La serenità val bene una punturina.