Gianni Vattimo è un uomo molto generoso. Ha sempre aiutato persone in difficoltà: ex allievi, extracomunitari, domestiche, badanti e amici fragili con la fissa del denaro e della bella vita. Nell’era dei pregiudizi, verrebbe facile imputargli eccessi interessati, senza scomodare il ddl Zan. Ma il padre del «pensiero debole» pratica e predica la carità verso il prossimo, dà e non vuole. Vattimo ha 85 anni, ha paura della solitudine, manifesta un disperato bisogno di famiglia e da tempo vive nell’ombra: perché l’Italia 2.0 se n’è dimenticata, perché nell’eterno presente digitale non contano molto il pensiero, la cultura, la storia e l’idea dell’emancipazione.

Dal 2018 la Procura di Torino è convinta che il filosofo sia incapace e quindi possibile vittima di circonvenzione da parte del suo assistente: Simone Cicero Caminada, trentasettenne di origini brasiliane, scuro di pelle e spirito ribelle con a carico un procedimento a parte, per presunta violenza sessuale nei confronti di una ragazza. Secondo il Pm Giulia Rizzo, Caminada avrebbe influenzato Vattimo in modo da garantirsi entrate, investimenti e l’eredità dell’intellettuale, compresi oggetti ritenuti di valore, come un taccuino di Fidel Castro. La tesi della Procura poggia su una perizia psichiatrica dell’universitario Franco Freilone e sull’analisi dei conti bancari di Vattimo, gestiti dall’accusato per volontà e delega del suo stesso datore di lavoro, con cui condivide spazi domestici e vita quotidiana. Dal canto suo, Caminada, contrattualizzato da un pezzo, ha ricostruito al centesimo i bonifici ricevuti e le spese sostenute da Vattimo, che ha detto di fidarsi in pieno del suo assistente, riconoscendogli un ruolo, una gestione oculata della cassa e il blocco di uscite destinate a confidenti del filosofo e questuanti vari.

Vattimo ha replicato, addirittura dimostrato, di non essersi rimbecillito: continua a studiare e pubblicare, anche se la vecchiaia gli gioca brutti scherzi, costringendolo a restare in casa, tra l’altro con i conti bloccati dall’autorità giudiziaria. Il già preside di Filosofia ed ex parlamentare europeo cammina male, è nostalgico, provato. Sa d’aver vissuto tra successi e dolori: la fama internazionale, la carriera accademica e politica, i convegni all’estero, la stima dei Castro e Chavez, la scomparsa prematura dei suoi familiari e compagni, l’affermazione di suoi discepoli: Maurizio Ferraris, Alessandro Baricco, Franca D’Agostini, Diego Fusaro. Talvolta Vattimo, specie dopo la morte Umberto Eco, si abbandona a riflessioni sulla fine dell’esistenza, naturali per l’età, per la consapevolezza della perdita delle forze, dell’impossibilità di tornare indietro, di non poter rimediare alla mancanza di un figlio, se non considerando tale chiunque gli mostri affetto e vicinanza.

È il non essere padre il chiodo fisso del professore. Per quanto voglia rifugiarsi nelle sue interpretazioni di Nietzsche e di Heidegger, Vattimo non riesce ad allontanarlo dalla mente, non più alleggerita dall’impegno politico, dall’attualizzazione del «pensiero debole» e dalle tavolate allegre con i suoi diversi “figli adottivi”. Qualcuno di loro ha ricevuto oltre centomila euro dalla vendita di un appartamento del filosofo a Parigi, il resto del ricavato va diviso. Altri sarebbe stato foraggiato a lungo. C’è pure chi ha ottenuto l’intero archivio del pensatore, che egli avrebbe ceduto per dare una mano a tutti i costi, al punto da privarsi di testi, appunti e documenti fondamentali.

Ma Vattimo è così, prendere o lasciare. Lo sa benissimo Aldo Cazzullo, per esempio, che in più articoli ne ha colto pregi e difetti, non di rado coincidenti o inscindibili. La debolezza, o la forza, di questo maestro del post-moderno sta nel suo altruismo smisurato, probabilmente frutto del vissuto, che l’ha abituato al distacco totale dai beni materiali, al bisogno di donare anche a costo di rimetterci nel profondo. Vattimo ha confessato di essersi addirittura sposato, da poco è separato, per preservare una parte dei propri averi e trasferirla ad una professionista, figlia della sua compianta amica Mara Di Fabio. «Un fatto amministrativo», così il filosofo aveva definito il suo matrimonio con il medico Martine Tedeschi.

Mercoledì 9 giugno Caminada, che da circa 6 anni si prende cura della salute, si è presentato all’udienza preliminare ed è stato rinviato a giudizio. In ogni caso la giustizia penale non potrà entrare nell’animo del filosofo, per cui, peraltro, è stato chiesto l’amministratore di sostegno. In ogni caso, questi manterrà il desiderio, cosciente e sentito, di essere caritatevole ad oltranza, il diritto di libera scelta. Forse aveva ragione il teologo Massimo Naro, che sentenziò: «Vattimo è l’ultimo monaco florense, l’ultimo seguace di quel Gioacchino da Fiore che ispirò la vita povera di Francesco d’Assisi».