Il rischio di procedure di infrazione è sul tavolo
Venghino siori qui si svende! Che miopia svendere i gioielli di Stato per fare cassa
L’ordine del giorno del governo è la cessione di Tim a Kkr, il 4 per cento dell’Eni per due miliardi, Poste. E dall’Ue non arrivano buone notizie: «L’Italia non è in linea con le raccomandazioni»
Altro che regionali, contropartite politiche per non sbilanciare la maggioranza e seminari per fare team building (quello del Pd). Il vero ordine del giorno del governo è ben altro. È, ad esempio, la cessione di Tim ad una cordata guidata da Kkr; l’amministrazione controllata straordinaria per Ilva che il governo ha fatto scattare prima del previsto per stoppare ulteriori manovre dilatorie e ulteriormente dannose per la fabbrica, il settore dell’acciaio e la casse pubbliche. In quell’ordine del giorno tenuto un po’ sottobanco perché scomodo ci sono soprattutto i richiami di Bruxelles sulla nostra legge di bilancio “non in linea con le raccomandazioni della Commissione”.
E c’è il pacchetto di privatizzazioni da 20 miliardi annunciato nella Nadef e confermato dalla premier Meloni nella conferenza stampa di inizio anno e di cui il ministro Giorgetti ha discusso proprio al Forum economico di Davos che si è chiuso ieri con importanti investitori, da Jp Morgan a Bank of America, il segretario delle finanze di Hong Kong. Un’agenda importante quella di Giorgetti. Almeno tanto quanto quella della premier che tra poche ore andrà in Turchia, al Consiglio europeo a Bruxelles e poi al vertice Nato e dal 3 al 6 febbraio a Tokyo per il passaggio di consegne del G7. Sicuramente quella del ministro economico è un’agenda più difficile stretto com’è tra i due fuochi di una maggioranza che ragiona esclusivamente in termini elettorali e di consenso e Bruxelles che certo non si è dimenticata dell’indisciplina e degli sgarbi italiani. Uno su tutti, la mancata approvazione del Mes. Un’agenda, quella economica e finanziaria, su cui è bene fare luce e illuminare ogni capitolo. Cominciamo dall’Europa. Da dove non arrivano buone notizie. Che la Bce tagli i tassi è un’ipotesi più che probabile ma ancora incerta (vediamo cosa succede nel quadrante mediorientale).
Quello che è sicuro è che l’Italia nel 2024 dovrà collocare sul mercato 350 miliardi di titoli di stato e che la Bce abbasserà fino ad azzerare il sostegno dato in questi anni al debito italiano. Proprio ieri, il commissario europeo per il Commercio Valdis Dombrovskis, ha dichiarato che “l’Italia non è in linea con le raccomandazioni del Consiglio europeo” Se è vero che rispettiamo una delle raccomandazioni fondamentali della Commissione Ue per il 2024, ovverosia “il tetto sulla crescita dell’aggregato di spesa primaria netta”, è anche vero che “la crescita di tale aggregato non è pienamente in linea con la raccomandazione a causa del Superbonus”. Secondo la Commissione la stima più recente della spesa per il 2023 è superiore alle stime effettuate a luglio per due fattori relativi ai crediti d’imposta per la ristrutturazione energetica degli edifici residenziali: un utilizzo di tali crediti superiore alle attese nel 2023 e modifiche legislative che ne hanno cambiato la natura riducendone l’impatto previsto sulla spesa del 2024”. Più in generale Dombrovskis ha detto che “il bilancio italiano (quello approvato il 29 dicembre con grande soddisfazione del governo, ndr) non è perfettamente in linea con le raccomandazioni del Consiglio” e che è stato chiesto all’Italia “di rimettersi in linea”. Il rischio di procedure di infrazione è sul tavolo. Tra i file sospesi c’è sempre e comunque il Mes.
“Spetta al Parlamento italiano fare qualche passo avanti – ha spiegato il commissario Ue – noi speriamo di poterli vedere quanto prima”. Un messaggio diretto a chi è convinto che quello del Mes sia un tema ormai archiviato fino alla prossima Commissione. Manca un anno all’insediamento del prossimo governo europeo che uscirà dal voto del 9 giugno. Da qui ad allora l’Italia rischia di impoverirsi e pagare cara la sua indisciplina economica. E le sue casse magre. Con prospettive di crescita assai ridimensionate (da 1,5 della Nadef allo 0,6 della Banca d’Italia) e il debito praticamente stazionario. La missione di Giorgetti a Davos si è mossa in questo scenario. E l’esigenza, quindi, di fare cassa. A cominciare da quelle privatizzazioni che nelle previsioni comunicate a Bruxelles ammontano a venti miliardi. Proprio a Davos, giovedì, l’agenzia Bloomberg ha fatto filtrare la notizia dell’intenzione del governo di cedere il 4 per cento dell’Eni, il gioiello di casa. Una quota minore, in pratica la quota del Mef (4,4%), mentre il pacchetto di maggioranza (26,2%) è e resta in mano alla controllata Cassa Depositi e Prestiti. Previsioni d’incasso: due miliardi. Tra gli altri gioielli in vendita ci sarebbero quote di Ferrovie che controlla per intero la rete e al cento per cento controllata dallo Stato. Nel gruppo adesso ci sono anche Anas e le strade statali. Operazione complicata. Tre le ipotesi più accreditate anche quella di scorporare Trenitalia e metterne sul mercato una quota pari circa al trenta per cento. Nell’elenco ci sono Poste, la più grande società pubblica per numero di dipendenti (oltre 120 mila).
L’ipotesi è quella di vendere l’intera quota del Tesoro, più o meno un terzo, per un controvalore di circa quattro miliardi. Il momento dell’annuncio potrebbe coincidere con la fine di marzo quando il numero uno del gruppo Matteo Del Fante presenterà il nuovo piano industriale e i numeri del 2023. In cantiere anche la cessione del 14-15 per cento di Rai Way, la società oggi controllata al 65% attraverso la Rai e che si occupa della trasmissione del segnale radiotelevisivo digitale terrestre. Anche qui è difficile dire quanto possa portare in cassa questa operazione finché non se ne conosce il dettaglio. Il tema su cui economisti e analisti si stanno interrogando con una certa ansia è molto semplice: quale è il piano industriale del governo che decide di mettere in vendita pezzi importanti dello Stato. Se fosse solo l’esigenza di curare il debito, sarebbe una visione un po’ miope.
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