Occorre mettere ordine sul tema, delicatissimo, del rapporto tra la tematica della violenza sessuale ed i principi irrinunciabili del processo penale. Il tema è di enorme rilievo, e non può degradare in un desolante scontro tra tifoserie, né tantomeno in ghiotta occasione di speculazione politica. Proviamoci, almeno.

1. Il tema del consenso di una persona – di una donna in particolare – al rapporto sessuale ha raggiunto ormai esiti chiarissimi e largamente condivisi. Il consenso deve essere esplicito e non equivocabile. L’idea del consenso implicito (in un atteggiamento, in un comportamento, in un abbigliamento) appartiene ad un armamentario culturale e sociale indecente ed indifendibile, che appartiene ad epoche ed a contesti sociali per nostra fortuna morti e seppelliti.

2. Se dunque il consenso deve essere esplicito, è ovvio che la persona deve trovarsi in condizioni fisiche e psichiche tali da consentirne la consapevole manifestazione. Questo principio perfino banale non ha alcuna ragione di essere modificato o derogato allorquando sia la persona stessa ad essersi posta nella condizione di incapacità (ubriacandosi o drogandosi, per esempio). Chi intende avere un approccio sessuale con una persona in stato di manifesta alterazione, deve mettere in conto che il consenso di costei all’atto sessuale, o anche solo il mancato dissenso, potrebbe essere condizionato dallo stato di alterazione cognitiva.

3. Agire sessualmente in spregio di questi principi pone quella condotta nel campo dei fatti penalmente rilevati. Il che però significa che da quel preciso momento entrano in gioco altri principi fondamentali del vivere civile, dotati di forza e di rango costituzionale esattamente pari a quelli che regolano e proteggono il diritto della persona alla inviolabilità della propria libertà ed alla intangibilità della propria integrità fisica e morale. Primo: i fatti penalmente rilevanti devono essere provati al di là di ogni ragionevole dubbio. Secondo: l’onere di questa difficile prova è indefettibilmente in carico a chi accusa. La peculiarità del tema di prova, la comprensibile difficoltà della sua ricostruzione, le implicazioni psicologiche, culturali, ambientali, sociali che inesorabilmente lo connotano, non possono in alcun modo valere non dico ad invertire – ci mancherebbe altro! – ma anche solo ad affievolire o in qualche modo derogare quei due principi cardinali sulla cui inviolabile forza si basano le fondamenta stesse della nostra convivenza civile.

4. Purtroppo, occorre dire con molta chiarezza che nella quotidiana realtà dei processi penali per violenza sessuale, non è certo infrequente imbattersi in un inammissibile sovvertimento di quei principi, che è più agevole veder rispettati in processi per omicidio plurimo o per associazione mafiosa, che in quelli. Questo è il nucleo vero della questione, sul quale occorre interrogarsi e dibattere senza ipocrisie. La percezione della ovvia “debolezza” della (presunta, però) vittima della violenza sessuale, e la impetuosa forza culturale e sociale del (giusto) tema del consenso come sopra ricordato, conduce a riconoscere in modo ormai quasi sistematico una vera e propria autosufficienza probatoria della versione dei fatti offerta dalla persona offesa. Il processo finisce dunque per prendere la forma di una difesa pregiudiziale e ad oltranza del “soggetto debole”, che finisce per delegittimare sia il principio dell’onere probatorio che quello dell’oltre ogni ragionevole dubbio. E ciò anche attraverso una sorta di stigma di indegnità da attribuire ad ogni tentativo difensivo di mettere in dubbio la credibilità della (sempre presunta) parte offesa.

5. Non a caso leggiamo abitualmente, nelle polemiche che nascono intorno a casi di cronaca di rilievo mediatico, la messa all’indice della confutazione difensiva della credibilità della versione accusatoria, immancabilmente bollata come “vittimizzazione secondaria”. Una categoria, questa, certamente rilevante sotto il profilo sociologico, ma semplicemente inconcepibile se calata nelle dinamiche del processo penale. Come dovrebbe allora difendersi un imputato da una accusa così infamante, e dalla prospettiva di una condanna che è, molto semplicemente, l’inferno in terra, uno stigma sociale incancellabile e devastante, se non insinuando il dubbio, almeno il dubbio, che la propria versione dei fatti, e non quella della (presunta) vittima, sia quella giusta?

6. In conclusione: nessuno osi sminuire, svilire, o perfino ingiuriare il tema, intangibile, del consenso esplicito ed inequivocabile della persona al rapporto sessuale. Ma non si faccia di questo principio di civiltà il grimaldello per pretendere (e purtroppo spesso ottenere) per il reato di violenza sessuale un processo penale con regole probatorie modificate, ed anzi invertite, rispetto a quelle imposte dalla legge e dalla Costituzione. Così aggiungendo nella nostra società dolore al dolore, violenza alla violenza, ingiustizia all’ingiustizia.

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Avvocato